Nel procedimento camerale di sorveglianza costituisce una causa di rinvio dell’udienza il legittimo impedimento del difensore, purché prontamente comunicato con qualunque mezzo, inclusa la posta elettronica certificata (PEC), sicché quando una tale circostanza risulti il giudice che ne abbia conoscenza è tenuto, qualora ne ricorrano i presupposti, a rinviare l’udienza.


La Suprema Corte ha precisato che la diretta applicazione del Codice dell’Amministrazione Digitale nel processo penale è soggetta ai limiti stabiliti dal regolamento ministeriale e, quindi, l’equiparazione introdotta dall’art. 48 del CAD tra raccomandata e PEC non ha diretta applicazione all’uso di tale strumento da parte dei difensori nel processo penale (e civile), se non nei limiti di quanto previsto dal decreto del Ministro della giustizia del 21 febbraio 2011, n. 44.
Sulla questione dell’identificazione, i Giudici di legittimità chiariscono – ove ce ne fosse bisogno – che la posta elettronica certificata non attribuisce la paternità del documento trasmesso, svolgendo unicamente la funzione di certificare la provenienza del messaggio dalla casella di posta del mittente e la ricezione di esso da parte del destinatario (art. 48 Codice dell’amministrazione digitale, approvato con d.lgs. n. 82 del 2005).
La paternità è, viceversa, attribuita dalla firma digitale che, tuttavia, in forza del citato DM n. 44 del 2011, non può essere utilizzata nel processo penale fino a quando non sarà adottato il decreto previsto dall’art. 35 del regolamento n. 44 del 2011.
(Cass. Sez. 1^ Pen. – sentenza 17-22/07/2020, n. 21981)

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