In seguito alla dichiarazione della illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge n. 47 del 1948, l’applicazione della pena per il reato di diffamazione a mezzo stampa torna ad essere disciplinata dal terzo comma dell’art. 595 codice penale, con la possibilità che il Giudice applichi la pena detentiva (alternativa, nella disposizione in parola, a quella pecuniaria) purché, nell’esercizio del potere di scelta fra l’applicazione della pena detentiva o di quella pecuniaria, adempia all’obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la reclusione.

In generale, la scelta di applicare la pena detentiva deve essere sempre esteriorizzata nelle sue direttrici portanti che ne consentano di apprezzarne la ragionevolezza, in relazioine alla effettiva connotazione, oggettiva e soggettiva, del fatto e di tutte le sue implicazioni sul versante sanzionatorio.

(Cass. Sez. 5^ Pen. – sentenza 14/03/2022 n. 24584)

Appare evidente che allorquando si verta nel caso della diffamazione di cui all’art. 595, comma 3, cod. pen. si imponga, quanto meno, una maggiore cautela nell’applicazione della pena della reclusione, che deve essere improntata all’adozione del medesimo criterio, della eccezionale gravità, indicato dalla Corte Costituzionale, gravitandosi anche nel caso della diffamazione di cui all’art. 595, comma 3, cod. pen., riferibile a soggetto non giornalista, nell’ambito della stessa sfera della libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost., costituzionalmente e convenzionalmente garantita, che sta alla base anche della libertà di stampa.

In seguito alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 13 della legge 47/1948, debbono applicarsi anche alla diffamazione a mezzo stampa le norme che disciplinano la competenza funzionale in tema di diffamazione ex art. 595 c.p. e, conseguentemente, non è più prevista la celebrazione dell’udienza preliminare.

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