Per l’accoglimento dell’istanza di affidamento in prova ai servizi sociali, non può esigersi – in positivo – la dimostrazione che il soggetto abbia già compiuto una completa revisione critica del proprio passato, bensì è sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato, nella prospettiva di un suo ottimale reinserimento sociale, non postulando – la misura alternativa suddetta – come presupposto indispensabile al suo riconoscimento la verifica di una già conseguita, radicale emenda da parte del condannato, che costituisce invece l’obiettivo da raggiungere con il completamento del processo di rieducazione, ma esigendo piuttosto il riscontro dell’esistenza di elementi dai quali possa desumersi l’avvenuto, sicuro inizio di questo processo.

Nella fattispecie, la molteplicità dei fatti trasgressivi in modo rilevante delle prescrizioni poste a carico del reo, ha indotto i Giudici di Sorveglianza alla conclusione che il condannato non aveva utilizzato gli arresti domiciliari per avviare la rieducazione nel corso di una corretta espiazione della pena, ma, anziché avviare il percorso rieducativo, ne aveva tratto occasione per proseguire nell’attuazione di comportamenti anche illeciti, facendo emergere il concreto pericolo di condotte recidivanti che gli stessi arresti domiciliari si erano dimostrati non idonei a contenere.
(Cass. Penale Sez. 1^, sentenza 13 febbraio – 5 agosto 2019, n. 35653)

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