Nell’esercizio di attività diagnostica o terapeutica, il medico può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito un consenso esplicito ed informato dallo stesso, o se sussistano i presupposti dello stato di necessità, e deve comunque immediatamente fermarsi in caso di dissenso del paziente.
(Cass. Penale Sez. 3^, sentenza 22 febbraio – 6 maggio 2019, n. 18864)

Questo uno dei principi fissati dalla Suprema Corte nella sentenza che ha annullato con rinvio l’assoluzione in grado di appello di un ginecologo accusato di violenza sessuale nei confronti di tre pazienti per atti compiuti senza consenso informato.
La Suprema Corte ha affermato che l’errore del medico in ordine all’esistenza di un obbligo giuridico di acquisire il consenso del paziente prima di procedere al compimento di atti incidenti sulla sfera di autodeterminazione della libertà sessuale di quest’ultimo, a differenza di quello sulla sussistenza di un valido consenso, costituisce errore su legge penale che, a norma dell’art. 5 c.p., non esclude il dolo, ed esclude la colpevolezza solo in caso di ignoranza inevitabile.
Il Giudice del rinvio, espressamente sollecitato in tal senso, dovrà offrire, nella ricostruzione del fatto, ed ai fini dell’accertamento di un ragionevole dubbio dell’imputato in ordine all’esistenza di un effettivo consenso delle persone offese, puntuale ragione del proprio convincimento, evitando di incorrere nelle aporie e discrasie logiche censurate in sede di legittimità.

Testo integrale sentenza

 

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