L’esposizione sul parabrezza dell’autovettura del contrassegno assicurativo falsificato non integra il rato di truffa, perché, pur potendosi ammetter, nello schema della truffa, la configurabilità di un atto dispositivo di carattere omissivo, nella condotta sopra descritta manca in effetti un qualsiasi atto di disposizione patrimoniale, non essendo esso ravvisabile nel fatto che gli organi di controllo, indotti in errore, non contestino l’evasione tributaria, né tantomeno nel fatto che l’erario si limiti a subire l’inadempienza dell’agente al momento del mancato versamento di quanto dovuto o del versamento della somma inferiore a quella dovuta.

Il rato di truffa, in altri termini, non è configurabile perché manca la necessaria cooperazione della vittima e manca altresì la sequenza “artificio-induzione in errore-profitto”, necessaria per la configurabilità del reato, perché, al contrario, il profitto viene realizzato immediatamente, grazie al mancato versamento della somma dovuta o al versamento di una somma inferiore, mentre l’alterazione del contrassegno risulta finalizzata a dissimulare il profitto già ottenuto, che si sostanzia nella circolazione dell’autovettura senza copertura assicurativa.
(Cass, Pen. Sez. II, 30 aprile – 10 giugno 2009, n. 23941, ric. Albani) 
 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.