Il diritto riconosciuto dal nostro ordinamento di non rilasciare dichiarazioni autoincriminanti, deve ritenersi così – a parere di questo giudice – il giustificato motivo per il quale il soggetto clandestino non esibisce i propri documenti, cosicché la fattispecie incriminatrice ex art. 6 co. 3 D. L.vo 286/98, non risulta mai integrata se a commettere il fatto è cittadino straniero clandestinamente trattenutosi nel territorio dello Stato.
(Tribunale di Monza, Sezione Unica Penale, Sentenza 12 gennaio 2010, Giudice Gallucci)

 

 
Tribunale di Monza
Sezione Unica Penale
Sentenza 12 gennaio 2010, Giudice Gallucci in proc. penale n. 2608/09
 
[OMISSIS]
imputato del reato p. e p. dall’art. 6, 3 comma D.Lgv 286/98 perchè, richiesto da pubblici ufficiali, non esibiva, senza giustificato motivo, alcun valido documento di identificazione;
In Vimodrone, il 07.03.2008.
[OMISSIS]
Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal P.M. in data 6/4/2009, [OMISSIS] veniva tratto a  giudizio di questo Tribunale per rispondere del reato a lui ascritto.
All’odierna udienza l’imputato rimaneva assente e ne veniva dichiarata la contumacia; le parti quindi prestavano l’assenso alla acquisizione agli atti dell’intero fascicolo del P.M. e, ritenuta così esaurita l’istruttoria dibattimentale venivano acquisite le loro conclusioni.
Ritiene questo giudice che l’imputato debba essere assolto dall’imputazione a lui ascritta perché il fatto non sussiste, alla luce delle argomentazioni di seguito svolte.
L’entrata in vigore della legge n. 94 del 15 luglio 2009, il c.d. “pacchetto sicurezza”, con la modifica apportata al testo dell’art. 6 co. 3 D. L.vo 286/98, impone alcune considerazioni indispensabili a valutare la sussistenza del reato.
Quanto alla condotta materiale addebitata all’imputato, vi è prova piena del fatto che egli non esibì – richiestone legittimamente dalle forze dell’ordine – alcun documento di identificazione né il permesso di soggiorno; ci si deve chiedere tuttavia,  se tale condotta, realizzata da un cittadino extracomunitario privo di qualunque documento di riconoscimento, sia ancora penalmente sanzionata dall’art. 6 in contestazione.
Il testo della norma prima della riforma, recitava al comma 3: “Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o di altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno è punito …”, mentre ora, invece, si legge nella nuova formulazione: “Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è punito con l’arresto fino ad un anno e con l’ammenda fino ad euro 2.000”; questa modifica della congiunzione disgiuntiva “o”, sostituita con quella copulativa “e”, apparentemente trascurabile, incide invece in maniera sostanziale sulla fattispecie punibile.
La nuova norma infatti, sembra ora punire lo straniero che non esibisce sia il documento di identità che il permesso di soggiorno, laddove per la norma previgente era sufficiente che solo uno di tali documenti fosse esibito perché il reato non fosse integrato; da questa premessa si possono far discendere due diverse soluzioni: l’una secondo la quale il clandestino, in quanto tale, sarebbe responsabile “per definizione” del reato ex art. 6, co. 3 D. L.vo 286/98, poiché comunque privo di permesso di soggiorno e, dunque, impossibilitato ad esibirlo, l’altra che fa discendere dall’introduzione del reato di clandestinità ex art. 10 bis del suddetto decreto legislativo, l’esclusione della punibilità del clandestino che, diversamente, sarebbe punito due volte, per la medesima condotta (il soggiorno irregolare).
Non è chi non vede la palese irragionevolezza di una siffatta soluzione che difficilmente potrebbe reggere il vaglio di costituzionalità. 
Si deve ancora osservare come la nuova fattispecie di reato della permanenza irregolare sul territorio dello Stato incide significativamente sui limiti di applicazione della norma qui in discussione, infatti già in passato la giurisprudenza si era interrogata sulla possibilità che il clandestino potesse rispondere del reato ex art. 6, atteso che, in tale evenienza, si sarebbe richiesto al soggetto che illegalmente si trattiene nel territorio dello Stato, di aggravare la propria posizione giuridica con l’imporgli l’esibizione dei propri documenti di identità, così autodenunciandosi (v. Cass. Sez. I, 14/2/2003 n. 10220).
Le Sezioni Unite della Suprema Corte tuttavia, avevano negato il fondamento di tale affermazione, motivando proprio sulla circostanza che la permanenza irregolare nello Stato non era prevista come reato per cui si sarebbe trattato per il clandestino, di svelare solo un illecito amministrativo, e non un commesso reato (Cass. S.U., 29 ottobre 2003 n. 45801 in cui si legge: “Il contrario assunto, circa “la non esigibilità di una condotta, pur prevista come obbligatoria, che esporrebbe chi vi è tenuto a un aggravamento della propria posizione giuridica”, contenuto nella sentenza n. 3517/2003, Dinaj, della I Sezione penale, non appare tener conto del preminente interesse pubblico sotteso alla norma, ragguagliato alla circostanza che l’ingresso irregolare in territorio nazionale non è comunque previsto come reato, salva l’ipotesi di cui all’art. 13.13 D. Lgs..vo n. 286/1988 (sicché non si tratterebbe di disvelare un commesso reato, ma solo un illecito amministrativo)).
L’introduzione del reato di clandestinità modifica all’evidenza proprio questo fondamentale presupposto così che il principio del “nemo tenetur se detegere” esclude ora che il clandestino possa essere punito per non aver mostrato i documenti, poiché tale condotta costituirebbe un’autoaccusa per il reato ex art. 10bis D.Lvo 286/98.
Il diritto riconosciuto dal nostro ordinamento di non rilasciare dichiarazioni autoincriminanti, deve ritenersi così – a parere di questo giudice – il giustificato motivo per il quale il soggetto clandestino non esibisce i propri documenti, cosicché la fattispecie incriminatrice ex art. 6 co. 3 D. L.vo 286/98, non risulta mai integrata se a commettere il fatto è cittadino straniero clandestinamente trattenutosi nel territorio dello Stato.
[OMISSIS], va pertanto assolto dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste, non risultando integrato uno degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice: la mancanza di un giustificato motivo.
P . Q . M .
Visto l’art. 530, c.p.p.
Assolve [OMISSIS] dall’imputazione a lui ascritta perché il fatto non sussiste.
Riserva il deposito della motivazione nel termine di giorni 90.

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