In tema di furto, è da escludere la sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede quando, essendo stato commesso il fatto su cose esposte per la vendita in un supermercato, risulti che su di esse era stato applicato un apposito dispositivo antitaccheggio, il quale consente una forma di controllo costante e diretta, sia pure a distanza, del tutto equivalente a quella che potrebbe essere realizzata visivamente dagli addetti alla vigilanza, dal momento che esso segnala immediatamente l’eventuale superamento della barriera delle casse senza che sia stato effettuato il pagamento.

La ratio dell’aggravamento è rappresentata dall’esigenza di apprestare una tutela penale rafforzata per le cose mobili che, per necessità, consuetudine o per destinazione delle cose stesse, sono lasciate dal titolare di tali beni prive di una diretta ed effettiva custodia, permanentemente o per un determinato periodo di tempo.
Agli effetti che qui rilevano, dunque, la “pubblica fede” non è considerata quale bene giuridico a sé stante, meritevole di una propria tutela penale, come avviene, appunto, nei reati contro la fede pubblica, ma unicamente in senso oggettivo, quale termine qualificativo del concetto di “esposizione”. L’esposizione alla pubblica fede, pertanto, determina una condizione delle cose mobili, per la quale le stesse, anziché essere custodite da chi ne è titolare, ricevono protezione essenzialmente dal pactum fiduciae tra i consociati in ordine al rispetto della proprietà e del possesso altrui. Un vincolo etico-normativo, quindi, la dissoluzione del quale giustifica l’inasprimento della sanzione. Ciò spiega il rigore che ha ispirato il tradizionale orientamento secondo il quale l’aggravante in esame può essere esclusa da una sorveglianza esercitata sulla cosa, solo se questa formi oggetto di una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di persona addetta, dovendosi invece ritenere inidonea a far venire meno la sussistenza della aggravante stessa una sorveglianza generica della polizia, o una sorveglianza che, per sua natura risulti necessariamente saltuaria ed eventuale, anche se specificamente esercitata dal possessore o da altri (cfr., ad es. Cass., sez. V, 20 settembre 2006, PM in proc. Mocarski).
Nella specie, peraltro, appare non controversa la circostanza che gli oggetti asportati dal supermercato fossero dotati di apposito dispositivo “antitaccheggio” con la conseguenza che – a prescindere dalla libertà della amotio dal sito in cui gli stessi erano esposti al pubblico – la relativa ablatio era assoggettata al controllo elettronico, predisposto come strumento di verifica operato dal titolare dei beni e dai relativi incaricati, proprio per impedire la sottrazione dei beni stessi senza la effettuazione del relativo pagamento. Il sistema di apposizione alle merci in vendita la placca “antitaccheggio” esclude, infatti, che possa parlarsi di un congegno destinato a consentire una attività di sorveglianza saltuaria o eventuale, giacché il meccanismo di rilevazione elettronica permette, in concreto, una costante “tracciatura” del bene, senza alcuna soluzione di continuità, a seconda del numero e della ubicazione degi appositi strumenti di rilevazione; così da permettere di segnalare immediatamente – esattamente come avverrebbe in ipotesi di diretto controllo visivo, personalmente effettuato dal proprietario o dagli addetti alla vigilanza – la abusiva asportazione degli oggetti dai banchi di vendita al momento del passaggio al varco, senza che ne sia stato effettuato il pagamento.
Si è, quindi, al di fuori di una generica sorveglianza ambientale, per rientrare appieno nel concetto di controllo costante e diretto, seppure “a distanza”, tale da escludere l’ipotesi di un “abbandono” delle cose alla “pubblica fede” degli avventori e dei clienti, cui la merce è stata offerta in vendita.
(Cass. Penale, Sez. II, 25 settembre – 6 ottobre 2009, n. 38716)

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