In tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi a una ipotesi di “doppia pronuncia conforme”, in primo e secondo grado, l’eventuale vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità, ex art. 606, comma 1, lett. e), del c.p.p., nel solo caso in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle censure contenute nell’atto di impugnazione, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice, ostandovi altrimenti il limite del devoluto, che non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità.
(Cass. Penale Sez. IV, sentenza 24 gennaio – 11 marzo 2013, n. 11489)


Corte Suprema di Cassazione
Sezione Quarta Penale
Sentenza 24 gennaio – 11 marzo 2013, n. 11489

[OMISSIS]visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/01/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Patrizia Piccialli;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Scardaccione E.V., che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito per la parte civile l’Avv. Del Mercato Beniamino del foro di Ferrara che ha concluso il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Ciotti Simon Pietro del foro di Roma che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
FATTO

D.V.M. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando in melius quella di primo grado solo relativamente al trattamento sanzionatorio concessione delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza e rideterminazione della pena, lo ha peraltro riconosciuto colpevole del reato di lesioni colpose contestatogli commesse in danno di G.M..
L’addebito era articolato nei confronti dell’imputato, nella sua qualità di Comandante provinciale dei Vigili del Fuoco, in relazione ad un infortunio subito dal vigile del Fuoco G.M. all’interno della sede di servizio: l’infortunato mentre stava procedendo ad un’operazione di controllo e verifica del cavo asservito al verricello di un veicolo di servizio – all’uopo appositamente messo in trazione mediante aggancio ad altro mezzo – veniva colpito dai veicoli impegnati nell’operazione a loro volta trascinati dal furgone condotto da Z.M., il quale, entrato all’interno della caserma, con il proprio mezzo privato, non si era avveduto della presenza del cavo, che agganciava determinando lo spostamento dei veicoli a seguito del quale il G. riportava gravi lesioni stato di coma insanabile.
Il giudicante, riprendendo anche gli argomenti già sviluppati dal primo giudice, pur evidenziando il comportamento improvvido dello Z., in particolare l’impropria, eccessiva velocità tenuta all’interno della caserma, riconosceva il ruolo efficiente delle condotte colpose contestate al D.V..
In primo luogo, la mancata considerazione del rischio conseguente all’utilizzo promiscuo del piazzale ove si era verificato l’incidente, utilizzato sia dal personale dei VV.FF. che dai privati che avevano occasione di entrare nella caserma. Difettava un sistema di videosorveglianza che consentisse di seguire i movimenti dei mezzi dopo il loro ingresso e comunque non era stato predisposto un apposito servizio di informazione e guida. Mancavano disposizioni puntuali per disciplinare l’accesso in sicurezza degli estranei nella caserma.
Tale situazione di rischio era accentuata dal fatto che nel piazzale impegnato dagli estranei venivano svolte operazioni – quale quella svolta dall’infortunato – allorquando una diversa area – specificamente destinata – fosse stata diversamente utilizzata e quindi risultasse indisponibile. Mancava quantomeno la predisposizione di un espresso divieto a svolgere le attività in tale piazzale.
In secondo luogo, neppure era stata predisposta una adeguata segnaletica per distinguere i luoghi di transito dei veicoli e dei pedoni. La spesa necessaria poteva essere affrontata anche in difetto di esplicita autorizzazione e, in ogni caso, in difetto, dovevano essere adottate soluzioni compensative, quale, in ipotesi, l’impiego di personale appositamente dedicato a seguire le manovre dei veicoli provenienti dall’esterno.
Il comportamento dell’infortunato, anche a volerlo considerare imprudente, non poteva considerarsi abnorme perchè non esorbitante dalle proprie mansioni.
Con il ricorso, articolato su distinti ma connessi motivi, involge il giudizio di responsabilità.
Ai fini che qui interessano, si rappresenta che l’imputato, nella qualità di Comandante provinciale, si trovava ad operare in una struttura pubblica in cui l’impegno di spesa per realizzare lo strumentario evidenziato negli addebiti doveva essere necessariamente autorizzato dagli organi superiori competenti e, per l’effetto, nessuna contestazione poteva essergli fatta per essersi in proposito più volte attivato, senza successo.
Anche l’addebito articolato nella mancata previsione di un più adeguato sistema di videosorveglianza non aveva alcun rilievo causale, perchè in ogni caso lo strumentario, quand’anche previsto, non avrebbe potuto impedire l’evento, non essendo consentito agli operatori in ipotesi addetti alla videosorveglianza di intervenire direttamente con la necessaria tempestività.
Si sostiene che diversamente da quanto sostenuto in sentenza l’imputato aveva dato disposizioni per la gestione in sicurezza dei veicoli che accedevano in caserma.
Si sostiene che erroneamente era stata indicata come violazione delle regole cautelare la mancata previsione del divieto di eseguire l’operazione di controllo dei verricelli in luogo diverso dal piazzale retrostante alla caserma, giacchè la espressa indicazione ad eseguirlo nel piazzale retrostante doveva intendersi come ampiamente e implicitamente satisfattivo.
Si ribadisce che l’addebito afferente la mancata predisposizione della segnaletica non aveva tenuto conto dei limiti di spesa e delle modalità autorizzative previste dalla normativa di settore.
Ancora. Si afferma che diversamente da quanto sostenuto in sentenza, erano state date disposizioni affinchè il personale addetto all’ingresso ricevesse adeguatamente i veicoli in transito.
Infine, si prospetta l’abnormità del comportamento dell’infortunato, il quale era persona tecnicamente qualificata e, per l’effetto, il relativo comportamento doveva essere commisurato non parametrandolo al modello di uomo medio.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Va ricordato, in premessa, che in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi ad una ipotesi di “doppia pronuncia conforme”, in primo e in secondo grado, l’eventuale vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nel solo caso in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle censure contenute nell’atto di impugnazione, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice, ostandovi altrimenti il limite del devoluto, che non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (Sezione 2, 9 luglio 2010, Battaglia ed altri).
Sotto questo profilo, non sono ravvisabili, nè dedotti, atti che possano consentire di apprezzare tale travisamento.
Vi è una decisione che, recependo integralmente quella di primo grado, analizza in modo affatto illogico gli elementi di prova da cui ha desunto una ricostruzione degli addebiti che regge al vaglio di legittimità, anche perchè, in questa sede, non è possibile una rinnovata valutazione del compendio probatorio, convergentemente esaminato in primo e secondo grado.
E ciò è stato fatto con corretta applicazione dei principi di diritto.
Non è infatti revocabile in dubbio che nelle pubbliche amministrazioni, la qualifica di datore di lavoro ai fini della normativa sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro – deve intendersi attribuita al dirigente al quale spettano poteri di gestione, compresa la titolarità di autonomi poteri decisionali anche in materia di spesa (cfr. tra le tante proprio la sentenza citata dal ricorrente; Sezione 3, 4 marzo 2003, Fortunato).
Sotto questo profilo, non è in discussione che la mancata erogazione delle somme richieste non potrebbe essere fonte di addebito diretto.
Ma è vero che la sentenza, rispettando tale ovvia indicazione di principio, ha evidenziato la carenza comportamentale del Comandante, il quale – a fronte della mancata erogazione delle somme – non si era attivato per trovare soluzioni cautelari analogamente satisfattive e “compensative”. Rispetto a tale carenza sono stati basati gli addebiti, che tengono in conto del fatto che fosse proprio l’imputato, in ragione della qualità, ad avere il potere gestionale sul luogo di lavoro.
La decisione sotto questo profilo regge al vaglio di legittimità, nel suo complesso, anche laddove motiva il giudizio di responsabilità valorizzando pretese soluzioni organizzative che – ragionevolmente – non avrebbero avuto – in ossequio al necessario giudizio controfattuale – reale capacità impeditiva dell’evento il sistema di videosorveglianza, che, certo, non avrebbe consentito di intervenire in prevenzione: la decisione di condanna evidenzia – appunto, nel complesso e in modo analitico – i comportamenti cautelari che ben avrebbero potuto impedire la realizzazione della condizione di pericolo e, tra questi, proprio l’esplicito divieto di svolgere le operazioni di controllo nel piazzale interessato dalla presenza di estranei.
Qui, vale il principio secondo cui, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l’interruzione del nesso causale (art. 41 c.p., comma 2), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l’evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo, allorquando appunto la condotta sia stata posta in essere nell’ambito dell’attività lavorativa e delle mansioni demandate (Sezione 4, 25 marzo 2011, D’Acquisto).
Ciò che qui si è verificato, in ragione proprio del mancato intervento cautelare preventivo, che si sarebbero dovuto sostanziare nell’imposizione di un esplicito divieto di operare nel piazzale:
divieto che fonda la colpa di chi avrebbe dovuto porlo, senza che possa valere come causa interattiva neppure la pretesa particolare qualità professionale dell’infortunato.
Analogo argomento consente di superare, in questa sede, anche il rilievo dell’aver dato il Comandante precise disposizioni per disciplinare l’accesso: le modalità dell’accesso, come verificatesi, confortano del giudizio di condanna perchè attestano dell’inidoneità delle indicazioni, evidentemente palesatesi come inidonee in ragione degli incombenti complessivamente richiesti al personale addetto all’ingresso.
Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio che, unitariamente e complessivamente, liquida in Euro 3.000,00 oltre I.V.A e C.P.A. nelle misure di legge.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.