La Corte di Cassazione ha elaborato criteri guida per la determinazione del trattamento sanzionatorio, affermando che, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio.
Ed in tale evenienza non è sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla entità del fatto e alla personalità dell’imputato.
Pertanto quando il giudice, nel quantificare la pena, supera in modo vistoso il minimo edittale, è tenuto a motivare esplicitamente sulle ragioni che lo hanno determinato a tale conclusione.
Il giudice, nel fissare la pena – ed innanzi tutto la pena base – quale conseguenza del reato di cui il condannato è stato ritenuto colpevole, deve tener conto non solo della funzione retributiva, perché la pena sia proporzionata alla gravità del reato e all’offensività in concreto della condotta del reo (art. 133 c.p., comma 1) e di quella di prevenzione generale, che tiene conto della capacità a delinquere del medesimo (art. 133 c.p., comma 2), ma necessariamente anche della funzione rieducativa che concorre con quella retributiva, dovendo la pena, in ragione del parametro costituzionale, essere “fortemente individualizzata in rapporto con le caratteristiche personali dei soggetti destinatari” e “all’obiettivo della rieducazione del condannato”.
I predetti criteri sono in sintonia con la giurisprudenza costituzionale, che all’art. 27 Cost., comma 3, prescrive in generale che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, assegnando una specifica valenza alla funzione rieducativa rispetto a quella retributiva e di prevenzione generale e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che all’art. 49, comma 3, prevede che le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato, sicché anche la funzione retributiva è orientata nel senso che è presente altresì un canone di ragionevole proporzionalità tra l’entità della pena irrogata e la gravità del fatto accertato nei suoi elementi soggettivi ed oggettivi.
(Cass. Penale Sez. III, sentenza 10 gennaio – 4 marzo 2013, n. 10095)

Testo integrale sentenza

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