In caso di cittadino straniero che debba partecipare ad un processo, la conoscenza della lingua italiana ad un livello tale da consentirgli una consapevole partecipazione agli atti che è chiamato a compiere, può desumersi solo da una dichiarazione in tal senso del cittadino stesso o da elementi oggettivi che possano condurre a tale conclusione con certezza.

Ne consegue che, quando, come nel caso di specie, il cittadino straniero chiamato a deporre come testimone affermi di necessitare di un interprete per il corretto svolgimento della sua funzione, tale dichiarazione non possa essere mai tacciata di falsità, quanto meno sotto il profilo soggettivo, esprimendo un’insicurezza del dichiarante rispetto al delicato ruolo chiamato a svolgere (che va ben oltre la capacità di compiere atti quotidiani della vita di relazione, per quanto complessi e può essere foriero, come ricordato, di conseguenze anche gravi sul piano della responsabilità giuridica) di cui è di fatto impossibile dimostrare l’artificialità sulla base di dati oggettivi e che è anzi opportuno assecondare nell’interesse stesso del processo.
(Tribunale di Roma Giudice dott. P. Picozzi, sentenza 9 novembre 2011 – 4 gennaio 2012, n. 20828/11)

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