L’esercizio del diritto di ritenzione non vale a scriminare l’agente in ordine al reato di appropriazione indebita, quando il credito che si vuole tutelare attraverso l’esercizio dello ius retinendi non è né liquido né esigibile: in tal caso, infatti, l’appropriazione della cosa altrui integra il reato di cui all’art. 646 del c.p., dovendosi ritenere ingiusto il profitto che l’agente intende realizzare in virtù di una pretesa che avrebbe dovuto far valere, in quanto non compiutamente definita nelle specifiche necessarie connotazioni di determinatezza, liquidità ed esigibilità, soltanto con i mezzi leciti e legali postigli a disposizione dall’ordinamento giuridico.

Nella specie, la Corte ha ritenuto correttamente ravvisato il reato a carico di un dentista, il quale, avendo ottenuto il possesso della radiografia effettuata da una paziente presso una Asl, in previsione di una prestazione terapeutica, aveva rifiutato di riconsegnarla alla paziente, con la giustificazione che la consegna sarebbe potuta avvenire solo previo pagamento dell’onorario, quantificato in una somma che la controparte contestava a causa di prospettati vizi dell’intervento terapeutico.
(Cass. Pen. Sez. II, 24 febbraio – 12 giugno 2009, n. 24487, ric. Weifner e altro).

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