La diffusione di un articolo giornalistico a mezzo internet quale concreta manifestazione del proprio pensiero, non puo’ trovare limitazioni, se non nella corrispondente tutela di diritti di pari dignita’ costituzionale e nel rispetto, altresi’, delle norme di legge, di grado inferiore, con le quali il legislatore disciplina in concreto l’esercizio delle attivita’ dianzi indicate.
Il sequestro preventivo, a sua volta, allorche’ cada su di un qualsiasi supporto destinato a comunicare fatti di cronaca ovvero espressioni di critica o ancora denunce su aspetti della vita civile di pubblico interesse non incide solamente sul diritto di proprieta’ del supporto o del mezzo di comunicazione, ma su di un diritto di liberta’ che ha dignita’ pari a quello della liberta’ individuale.
(Cass. Penale Sez. V, sentenza 10 gennaio – 24 febbraio 2011, n. 7155)

Corte Suprema di Cassazione
Sezione Quinta Penale
Sentenza 10 gennaio – 24 febbraio 2011 n. 7155


RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Milano in funzione di Giudice del Riesame, con ordinanza del 25 giugno 2010, ha confermato il decreto del 13 maggio 2010 del GIP del Tribunale di Milano con il quale, nell’ambito del procedimento penale a carico di Ba. Gi. Ba., era stata applicata la misura cautelare reale del sequestro preventivo dell’articolo pubblicato sul sito “(OMESSO)” intitolato “(OMESSO)” limitatamente ad alcune espressioni ritenute lesive dell’onore e del decoro di Ro. Li. .

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:
a) una motivazione illogica, incompleta e insufficiente sul punto della mancata equiparazione, ai fini dell’applicazione delle garanzie in tema di sequestro, tra pubblicazioni su carta stampata e pubblicazioni su siti internet;
b) una violazione di legge in merito alla presunta ma non definitivamente accertata diffamatorieta’ degli incisi oscurati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato e non merita accoglimento.

2. Giova premettere come nel presente giudizio non sia in discussione, come non lo era neppure nella precedente e immediata fase di merito, l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora che sottostanno all’impugnato provvedimento cautelare (v. pagine 3-4 dell’ordinanza del Tribunale e il ricorso per la cassazione di tale ordinanza).
Oggetto del contendere e’, da un lato (primo motivo del ricorso), la pretesa illogicita’ dell’impugnato provvedimento sul punto della ritenuta equiparazione alle pubblicazioni su supporto cartaceo delle pubblicazioni a mezzo rete internet ma senza la consequenziale equiparazione anche delle garanzie giurisdizionali.
Inoltre, si contesta (secondo motivo del ricorso) la presunta ma non definitivamente accertata diffamatorieta’ delle frasi oggetto del provvedimento cautelare e, quindi, l’inesistenza delle condizioni di legge per operare, in via generale, il sequestro (R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 561, articolo 1, Legge 8 febbraio 1948, n. 47, articoli 1 e 2 e articolo 21 Cost., comma 1).
3. Quanto a tale ultimo motivo puo’ evidenziarsi, per affermarsene immediatamente l’infondatezza, un duplice ordine di considerazioni: il primo, dato dalla mancata contestazione in sede d’impugnazione, circa la ritenuta esistenza, da parte del primo Giudice, del fumus boni iuris.
Il secondo che la “definitivamente accertata diffamatorieta'” delle frasi contenute nell’articolo pubblicato su internet non e’ un requisito previsto dalla normativa in tema di sequestro preventivo ma soltanto dal citato R.D.Lgs. n. 561 del 1946, articolo 1, applicabile al solo sequestro probatorio.
Invero, il R.D.Lgs. n. 561 del 1946, all’articolo 1, comma 1, nel sancire che non si puo’ procedere a sequestro dei giornali o di qualsiasi altra pubblicazione o stampato se non in virtu’ di una sentenza irrevocabile dell’autorita’ giudiziaria, si ricollega all’articolo 21 Cost. che tutela la liberta’ di stampa e con riferimento al sequestro pone una garanzia negativa, rafforzata da riserva di legge specifica (recitando: “si puo’ procedere a sequestro soltanto con atto motivato dell’autorita’ giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa lo autorizzi ovvero nel caso di stampa clandestina”).
Il successivo secondo comma del suddetto articolo 1 costituisce, a sua volta, una deroga all’enunciato divieto e di conseguenza deve essere interpretato rigorosamente: in tale ottica questa Corte ha gia’ avuto modo di segnalare che il sequestro ivi previsto non puo’ che essere quello probatorio, sia per ragioni storiche (essendo stata la figura del sequestro preventivo introdotta solo con il codice di rito del 1988) sia, soprattutto, perche’ sarebbe contraria alla logica ed alle finalita’ tipiche dell’istituto, volto ad impedire l’aggravamento o il protrarsi delle conseguenze della ipotizzata condotta criminosa, la previsione di un sequestro preventivo limitato a tre sole copie (v. le sentenze 24 gennaio 2006 n. 15961, 7 dicembre 2007 n. 7319 e 12 giugno 2008 n. 30611 di questa stessa Sezione).
4. Quanto al primo motivo, occorre ancora prendere le mosse dall’articolo 21 della Norma Fondamentale (ma anche in ambito sovranazionale dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nonche’ dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) che tutela l’esercizio dell’attivita’ d’informazione, le notizie di cronaca, le manifestazioni di critica, le denunce civili con qualsiasi mezzo diffuse in quanto espressione di un chiaro diritto di liberta’: quello della manifestazione del proprio pensiero.
Nessun ostacolo puo’, quindi, sussistere nel ritenere la diffusione di un articolo giornalistico a mezzo internet quale concreta manifestazione del proprio pensiero, che non puo’, quindi, trovare limitazioni se non nella corrispondente tutela di diritti di pari dignita’ costituzionale e nel rispetto, altresi’, delle norme di legge, di grado inferiore, con le quali il legislatore disciplina in concreto l’esercizio delle attivita’ dianzi indicate.
Il sequestro preventivo, a sua volta, allorche’ cada su di un qualsiasi supporto destinato a comunicare fatti di cronaca ovvero espressioni di critica o ancora denunce su aspetti della vita civile di pubblico interesse non incide solamente sul diritto di proprieta’ del supporto o del mezzo di comunicazione, ma su di un diritto di liberta’ che ha dignita’ pari a quello della liberta’ individuale.
Occorre, quindi, che la sua imposizione sia giustificata da effettiva necessita’ e da adeguate ragioni, il che si traduce, in concreto, in una valutazione della possibile riconducibilita’ del fatto all’area del penalmente rilevante e delle esigenze impeditive tanto serie quanto e’ vasta l’area della tolleranza costituzionalmente imposta per la liberta’ di parola.
A tal ultimo proposito si osserva come nell’impugnata ordinanza si faccia riferimento al “fumus commissi delicti“, ritenuto sussistente dal Gip (v. pagina 2 della motivazione) e come il decidente abbia, poi, condiviso e fatte proprie le asserzioni in merito alla sussistenza del reato ipotizzato e del pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato, a cagione del mantenimento in rete delle frasi oggetto del procedimento penale (v. pagina 4 della motivazione).
Essendo le suddette motivazioni logicamente espresse e correttamente ispirate ai principi penali sostanziali e processuali e non venendo neppure in contestazione la loro sussistenza, ecco che, in conclusione, appare legittimo il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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