Nel procedimento di sorveglianza trova applicazione il principio generale – di cui sono espressione gli istituti della revisione e della revoca delle misure cautelari – della revocabilità dei provvedimenti giurisdizionali, quando risulti, successivamente alla loro adozione, che la situazione fenomenica che li aveva giustificati era in realtà diversa; cosicchè, anche in mancanza di una espressa previsione normativa, è consentito rivalutare i presupposti per la concessione di un beneficio già negato o per la revoca di altro già concesso quando si alleghi la sussistenza di una situazione di fatto diversa rispetto a quella presa in esame dai primi giudici.
(Cass. Sezione I Penale, 7 marzo – 9 aprile 2014, n. 15861)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIEFFI Severo – Presidente –
Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. – Consigliere –
Dott. LA POSTA Lucia – Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – rel. Consigliere –
Dott. BONI Monica – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso l’ordinanza n. 450/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI, del 27/03/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette le conclusioni del PG Dott. D’ANGELO Giovanni che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
1. Il Tribunale di Sorveglianza di Napoli, con ordinanza del 27/3/2013, dichiarava inammissibile l’istanza proposta dal difensore di OMISSIS di revoca di precedente ordinanza; tale provvedimento aveva revocato la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale nei confronti di OMISSIS in conseguenza della consumazione di una rapina.
L’istanza di revoca era fondata sulla intervenuta assoluzione per il reato contestato.
Il Tribunale riteneva di non poter più procedere ad un nuovo esame dei fatti: la precedente ordinanza avrebbe dovuto essere impugnata e non lo era stata; inoltre, l’assoluzione per la rapina non comportava una valutazione esaustiva del comportamento del soggetto ai fini del buon esito dell’affidamento in prova cui C. era sottoposto.
2. Ricorre per cassazione OMISSIS, deducendo la manifesta illogicità della motivazione.
Dopo l’assoluzione dalla rapina per la quale era stato arrestato, OMISSIS aveva chiesto ed ottenuto nuovamente l’affidamento in prova D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94; peraltro, il “fine pena” era stato fissato non più al 28/3/2014, ma al 16/12/2016, in forza della revoca ex tunc del precedente affidamento: di conseguenza egli aveva chiesto la revoca della precedente ordinanza, ormai non più impugnabile.
La motivazione del provvedimento impugnato è illogica nella parte in cui si afferma che l’ordinanza di revoca dell’affidamento avrebbe dovuto essere impugnata con il ricorso per cassazione: l’affermazione non tiene conto del fatto che l’assoluzione dalla rapina contestata era intervenuta quando non era più possibile proporre ricorso.
In realtà, il provvedimento di revoca del beneficio è adottato rebus sic stantibus e può quindi essere sempre modificato.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata:
la revoca della precedente ordinanza è l’unico mezzo per spazzare via una palese iniquità.
3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per la declaratoria di inammissibilità del ricorso: la decisione di revoca dell’affidamento in prova è divenuta esecutiva e non può, quindi, procedersi ad un nuovo esame dei fatti; inoltre non esiste una consequenzialità necessaria tra sentenza assolutoria e la revoca richiesta.
4. Il difensore del ricorrente ha depositato motivi nuovi e memoria difensiva.
Il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di revoca del beneficio penitenziario era destinato all’insuccesso, alla luce degli elementi di fatto. Ma il Collegio ben poteva, contrariamente a quanto sostenuto, procedere ad un nuovo esame dei fatti in conseguenza dell’assoluzione dell’imputato dal reato contestato: altrimenti si produrrebbe un effetto iniquo e paradossale.
Il difensore richiama pronunce di questa Corte nonchè la sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 1996, che aveva affermato che la revoca di un beneficio penitenziario adottata in conseguenza dell’accusa di un reato deve ritenersi emessa rebus sic stantibus.
Il difensore insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Il ricorso è fondato e determina l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
1. Il Tribunale di Sorveglianza, sia pure incidentalmente, afferma che l’assoluzione per la rapina per la quale OMISSIS era stato arrestato “non comporta una valutazione esaustiva del comportamento del soggetto ai fini del buon esito dell’affidamento cui OMISSIS era sottoposto”: richiama, quindi, implicitamente l’insegnamento di questa Corte secondo cui nel procedimento di sorveglianza rileva solo la valutazione della condotta del condannato al fine di stabilire se egli – prescindendo dall’accertamento giudiziale della sua responsabilità – sia o meno meritevole dei benefici penitenziari alternativi alla detenzione (Sez. 1, n. 5007 del 18/09/1997 – dep. 13/11/1997, Fei, Rv. 208789).
L’autonomia tra la decisione del giudice penale e la valutazione del Tribunale di Sorveglianza, del resto, è stata sancita dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 1995, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale della L. n. 354 del 1975, art. 54, concernente la liberazione anticipata, nella parte in cui prevedeva la revoca del beneficio nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla sua concessione anzichè stabilire che la liberazione anticipata è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio; in conseguenza di quella pronuncia, questa Corte ha affermato che, ai fini della revoca della liberazione anticipata per delitto non colposo commesso dal condannato nel corso dell’esecuzione della pena, spetta al Tribunale di sorveglianza la valutazione dell’incidenza del reato sull’opera di rieducazione intrapresa, nonchè il grado di recupero fino a quel momento manifestato e la verifica di ascrivibilità del fatto criminoso al fallimento dell’opera rieducativa o ad una occasionale manifestazione di devianza (Sez. 1, n. 16784 del 07/04/2010 – dep. 03/05/2010, Balsamo, Rv. 246946), pur specificando che il potere del tribunale di sorveglianza di operare una cognizione incidentale dei fatti accertati nella sentenza di condanna per apprezzarli nel contesto complessivo dell’evoluzione della personalità del condannato, per quanto discrezionale e autonomo, non può considerarsi totalmente indipendente dal passaggio in giudicato dell’accertamento avvenuto in sede di processo penale (Sez. 1, n. 41750 del 16/09/2013 – dep. 09/10/2013, Attanasio, Rv.
257226).
Nella stessa linea di pensiero, con specifico riferimento al beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale, la Corte ha ritenuto legittima, nel procedimento di sorveglianza finalizzato alla revoca del beneficio, la valutazione di elementi integranti ipotesi di reato riferibili al condannato, senza che sia per questo necessario attendere la definizione del relativo procedimento penale (Sez. 1, n. 33089 del 10/05/2011 – dep. 05/09/2011, Assisi, Rv.250824).
2. Tuttavia, nel caso di specie, l’affermazione incidentale dell’ordinanza impugnata, sopra evidenziata, appare pretestuosa.
In effetti, l’ordinanza dello stesso Tribunale del 29/6/2011, che disponeva la revoca ex tunc della misura dell’affidamento in prova nei confronti di OMISSIS, era strettamente ed unicamente connessa alla rapina contestata; il Tribunale di Sorveglianza menzionava l’arresto in flagranza di OMISSIS “mentre perpetrava una rapina ai danni di una coppietta” ed osservava che “da tale comportamento emerge che, allo stato, non sussistono i presupposti per ritenere in atto un serio processo rieducativo, di guisa che non è possibile la prosecuzione della misura concessa, di cui si dispone la revoca ex tunc attesa la gravità della violazione posta in essere”.
La linea argomentativa di quel provvedimento, quindi, era chiara:
l’affidato, in precedenza condannato per rapina aggravata, aveva commesso una nuova rapina; la violazione era grave e, quindi, i presupposti per il beneficio erano venuti meno.
Il Tribunale di Sorveglianza non aveva, quindi, espresso una valutazione autonoma e più ampia rispetto alla specifica condotta illecita: la condotta era puntuale ed istantanea (rapina), era grave ed era stata posta in essere da soggetto condannato per il medesimo reato; nient’altro occorreva aggiungere.
Ecco che l’ulteriore considerazione presente nell’ordinanza impugnata – quella secondo cui l’ordinanza di revoca avrebbe dovuto essere impugnata con ricorso per cassazione – appare, a sua volta, astratta: quale violazione di legge o manifesta illogicità della motivazione avrebbe potuto essere dedotta con il ricorso, tenuto conto che la L. n. 354 del 1975, art. 47 (applicabile anche all’affidamento in prova concesso D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94) prevede la revoca dell’affidamento “qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova”? . Esattamente, quindi, il ricorrente richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 1996, che aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58 quater ord. pen..
La questione sollevata era direttamente attinente al tema in esame: il Magistrato di Sorveglianza di Alessandria dubitava della legittimità della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 58 quater, commi 1 e 2, nella parte in cui non prevedono che l’effetto preclusivo indicato nelle suddette norme non opera nei casi in cui, dispostasi la revoca di una misura alternativa per sussistenza di indizi di colpevolezza a carico del condannato, in relazione a procedimento penale pendente, intervenga sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto.
Il Magistrato richiamava proprio la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la decisione assolutoria non rimuove gli effetti dell’ordinanza di revoca della semilibertà, divenuta esecutiva per non essere stata impugnata, da essa deducendo che solo se il condannato avesse proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di revoca della misura sarebbe divenuto possibile accedere al richiesto beneficio.
La Corte Costituzionale riteneva che “l’effetto ineludibilmente preclusivo additato dal giudice a quo deriva da una non corretta individuazione del regime normativo ed in particolare dei rapporti tra revoca della misura e successiva possibilità di accesso ai benefici di cui all’art. 58-quater, comma 1.
Per restare alla misura della semilibertà, è chiaro che l’inidoneità al trattamento determinata da addebiti non costituenti reato assume i medesimi connotati finalistici rispetto all’inidoneità determinata dall’elevazione di un’imputazione per un fatto costituente reato. Quelli che divergono sono, però, almeno in taluni casi, i poteri cognitori spettanti al tribunale di sorveglianza. Nel primo caso, infatti, ci si troverà in presenza di una cognitio piena, destinata a coinvolgere il fatto addebitato in tutta la sua rilevanza funzionale; nel secondo caso, invece, non potrà scaturire che un giudizio meramente incidentale sull’effettiva consistenza del fatto contestato; ma in entrambi i casi in relazione ad esigenze che appartengono esclusivamente alle finalità del trattamento”.
Di qui la diversa capacità del provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di diventare irrevocabile nei due casi: “Ne consegue che quando la revoca è determinata da una causa “generica”, la questione, assumendo per il Tribunale di sorveglianza carattere principale, comporta, almeno di norma, il passaggio in giudicato della relativa statuizione ove avverso di essa non venga proposto ricorso per cassazione.
Quando, invece, la revoca derivi da un comportamento costituente reato e il tribunale la disponga solo per la gravità e le caratteristiche di esso in relazione alle esigenze del trattamento, la statuizione, considerata la sua natura incidentale, viene resa soltanto rebus sic stantibus, donde la successiva incidenza della decisione sul fatto-reato ove questa si sostanzi in una pronuncia proscioglitiva e sempre ferma restando per il tribunale di sorveglianza la possibilità di ponderare il fatto in tutte quelle connotazioni che possano incidere sul trattamento”.
Nel prosieguo la Corte ribadiva l’errore interpretativo di ravvisare nelle pronunce del tribunale di sorveglianza in tema di revoca delle misure alternative la produzione degli effetti propri del giudicato.
Senza in alcun modo considerare che mentre tale effetto è, di norma, consequenziale all’accertamento della impossibilità di proseguire nel trattamento derivante da fatti in ordine ai quali il tribunale di sorveglianza dispone di una cognitio plena, diversa è la situazione che si realizza quando l’interruzione del trattamento derivi da un fatto costituente reato che esaurisca l’intera valenza della interruzione del trattamento penitenziario. In tal caso, proprio perchè la cognizione del tribunale di sorveglianza non può che ridursi ad un giudizio incidentale limitato alle esigenze teleologiche del trattamento, essendo riservata alla cognizione del giudice penale la verifica della sussistenza del reato, appare evidente che la revoca della misura non potrà che commisurare la sua efficacia preclusiva all’esito del giudizio sul fatto reato;
sempre ferma restando, ovviamente, la cognizione specifica del tribunale di sorveglianza in ordine ai profili che, nonostante l’assoluzione dell’imputato, possono acquisire una valenza ai fini della riammissione al beneficio.
Il tutto senza che possa assumere rilievo di sorta la circostanza che il condannato abbia provveduto a proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento di revoca, considerati sia i tempi per l’accertamento del reato sia la quasi paradigmatica legittimità, allo stato, di un provvedimento di revoca: donde il rigetto del ricorso quando questo sia stato disposto per fatti di rilevanza penale direttamente incidenti sulla prosecuzione del trattamento”.
La pronuncia si attaglia perfettamente al caso in esame: la revoca del beneficio penitenziario era stata adottata con esclusivo riferimento alla commissione del grave reato che aveva determinato l’arresto di C.; un ricorso per cassazione era destinato ad un inevitabile rigetto; l’assoluzione dal reato contestato era comunque intervenuta dopo la scadenza dei termini per la presentazione di detto ricorso; l’assoluzione è stata pronunciata con la formula “per non aver commesso il fatto”, atteso che l’istruttoria dibattimentale ha dimostrato che, in sostanza, si era trattato di errore di persona.
4. Ricorre, in definitiva, un’ipotesi di revoca della misura adottata rebus sic stantibus dal Tribunale di Sorveglianza, come tale condizionata dall’esito del processo penale e, quindi, revocabile una volta intervenuta la pronuncia assolutoria, senza alcuna necessità di un previo inutile ricorso per cassazione da parte dell’interessato.
Resta quindi confermato, come già affermato da questa Corte, che anche nel procedimento di sorveglianza trova applicazione il principio generale (di cui sono espressione gli istituti della revisione e della revoca delle misure cautelari) della revocabilità dei provvedimenti giurisdizionali, quando risulti, successivamente alla loro adozione, che la situazione fenomenica che li aveva giustificati era in realtà diversa; cosicchè, anche in mancanza di una espressa previsione normativa, è consentito rivalutare i presupposti per la concessione di un beneficio già negato o per la revoca di altro già concesso quando si alleghi la sussistenza di una situazione di fatto diversa rispetto a quella presa in esame dai primi giudici, la cui decisione, qualora l’assunto risulti dimostrato, non può comportare alcuna preclusione (Sez. 1, n. 3870 del 03/06/1996 – dep. 24/07/1996, Raineri, Rv. 205589); principio, non a caso, in precedenza affermato per annullare l’ordinanza con cui il tribunale di sorveglianza, rilevando che si era formata una preclusione per il passaggio in giudicato della precedente ordinanza, aveva nuovamente rigettato un’istanza di liberazione anticipata con la quale si deduceva che il procedimento penale a carico dell’istante per furto all’interno del carcere, causativo del primo rigetto, si era concluso con l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Napoli.

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