Nel processo minorile, dopo la chiusura delle indagini preliminari e il rinvio a giudizio richiesto dal Pubblico Ministero, la competenza ad emettere sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. non appartiene più al giudice singolo, previsto per la fase delle indagini preliminari dall’art. 50 bis, introdotto nel R.D. 30 gennaio 1941, n.12 dall’art.14 del d.P.R. 22 settembre 1988, n.449, bensì dal giudice della udienza preliminare in composizione collegiale.
(Cass. Penale Sezione III, sentenza 18 ottobre 2012 – 28 maggio 2013, n. 22942)

Corte Suprema di Cassazione
Sezione Terza Penale
Sentenza 18 ottobre 2012 – 28 maggio 2013, n. 22942

[OMISSIS]

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/10/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza del 23 giugno 2011, il GUP del Tribunale per i Minorenni di Torino dichiarava ex art. 129 c.p.p. non luogo a procedere nei confronti di V.L. (minore di età), imputato del reato detenzione a fini di spaccio ed in concorso con altri di sostanza stupefacente del tipo eroina e cessione di cocaina a terzi (reato commesso a (omesso) )per immaturità al momento del fatto.
1.3 Ricorre avverso la detta sentenza il Procuratore Generale della Repubblica, deducendo, con un primo motivo, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale: rileva il P.G. che il GUP, investito della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal P.M. in modo del tutto errato ed in violazione dei primi quattro commi dell’art. 419 c.p.p. (applicabile anche nel rito minorile) ha emesso una sentenza di proscioglimento “de plano”; che tale decisione è in contrasto con il principio di diritto affermato dalle SS.UU., secondo il quale una volta che il P.M. abbia esercitato l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio il GUP non può procedere de plano ma dar corso alla udienza preliminare; che in ogni caso la formula di proscioglimento adoperata non rientra nel novero delle formule previste espressamente dall’art. 129 c.p.p.; che in conseguenza di tale decisione è stato vulnerato il principio del contraddittorio con correlata violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c). Con un secondo motivo il P.G. deduce difetto assoluto di motivazione e sua contraddittorietà in quanto il GUP nulla ha osservato in merito ai fatti oggetto della imputazione esprimendo poi un giudizio di immaturità (pur trattandosi di soggetto di età superiore agli anni quattordici) nonostante le emergenze processuali deponessero per una imputabilità evidente).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini qui di seguito indicati.
2. È infondato il primo motivo: vanno condivise sul piano generale le argomentazioni svolte dal P.G. ricorrente per quanto riguarda i limiti del giudice dell’udienza preliminare in merito alla possibilità di emettere sentenze di proscioglimento de plano ai sensi dell’art. 129 c.p.p., pur in presenza di una richiesta di rinvio a giudizio da parte del P.M. che imporrebbe, invece, la celebrazione dell’udienza preliminare onde assicurare a tutte le parti processuali il pieno rispetto del contraddittorio. Secondo l’orientamento di questa Corte, il giudice dell’udienza preliminare che sia stato investito della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio dell’imputato, non ha il potere di pronunciare sentenza di non doversi procedere per la ritenuta sussistenza di una causa di non punibilità senza la previa fissazione della udienza in Camera di consiglio. (Cass. S.U. 25.1.2005 n. 12283, Rv. 230529; v. nello stesso senso Cass. Sez. 2A 25.11.2008 n. 45049, P.G. in proc. Bodea, Rv. 241979). Alla base di tale regola juris, sta la considerazione che la norma processuale delineata dall’art. 129 non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo – artt. 425, 469, 529, 530 e 531 c.p.p. -, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio.
2.1 Se così accade nel processo ordinario, diversa è la regola da osservare nel processo relativo ad imputati minorenni. Secondo quanto previsto dal R.D. n. 12 del 1941, art. 50 bis, così come integrato dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, art. 14, è distinta l’attività del giudice singolo da giudice collegiale secondo che si tratti di fase riguardante le indagini preliminare o fase riguardante l’udienza preliminare quando ormai le indagini preliminari si sono concluse con l’esercizio dell’azione penale da parte del P.M. attraverso la richiesta di rinvio a giudizio: mentre nel primo caso la competenza è affidata al giudice singolo, nel secondo caso la competenza è affidata al giudice collegiale (“Nell’udienza preliminare il tribunale per i minorenni giudica composto da un magistrato e da due giudici onorari un uomo e una donna, dello stesso tribunale”).
2.2 Dal testo normativo si evince con chiarezza che la composizione collegiale del Tribunale è limitata al solo caso dell’udienza preliminare: tale previsione trova la sua ragion d’essere nella diversa esigenza collegata alla natura e portata delle decisioni da adottare in quanto nell’udienza preliminare il giudice può adottare decisioni di grande incidenza individuale, quali la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, ovvero la sospensione del processo e messa in prova e la dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova: ciò spiega l’esigenza di integrare la composizione dell’organo giudiziario con la presenza di ulteriori specialisti del settore.
2.3 Una volta, quindi, che il P.M., nel processo minorile, abbia richiesto il rinvio a giudizio dell’imputato, esaurendo quindi la fase propria delle indagini preliminari, mentre il giudice singolo previsto per tale fase dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, art. 14, non avrà alcuna competenza ad emettere sentenza ai sensi dell’art. 129 c.p.p., questa va invece riconosciuta al giudice collegiale dell’udienza preliminare in ragione della delicatezza e rilevanza dei provvedimenti che in quella sede possono essere assunti, (in termini Cass. Sez. 4A 21.12.1995 n. 1928, P.G. in proc. Zannini, Rv. 205247; Cass. Sez. 2A 3.2.2006 n. 6721, Della Volpe Rv. 233274; v. anche Cass. Sez. 4A 21.12.1995 n. 3877, P.G. in proc. Basso non massimata).
2.4 Tanto precisato, nel caso di specie il Tribunale di Torino si è pienamente uniformato a tali principi in quanto la sentenza ex art. 129 c.p.p. è stata pronunciata dal giudice collegiale (e non dal giudice singolo) nel corso dell’udienza preliminare come emerge ictu oculi dalla stessa intestazione del preambolo della sentenza impugnata.
3. Vanno, di contro, condivise le censure rivolte dal P.G. ricorrente avverso i contenuti del provvedimento: invero la motivazione resa sul punto dal Tribunale appare certamente deficitaria soprattutto alla luce dei gravi fatti contestati (dei quali non è alcun cenno nella sentenza), apparendo davvero manifestamente illogica l’affermazione che in quella vicenda processuale l’imputato ha rivestito un ruolo di assoluta marginai quale corriere. Ricordato che la vicenda processuale de qua riguardava la detenzione di un notevole quantitativo di eroina pari a ben 4 Kg. ascritta al minore V.L. in concorso con più imputati – alcuni dei quali maggiorenni – e che in ogni caso il V. era poco più che diciassettenne all’epoca del fatto, la carenza di motivazione e la sua illogicità si pone con maggiore evidenza in relazione alle scarne argomentazioni adoperate dal Tribunale al fine di affermare la capacità di intendere e di volere – e dunque il livello di maturità – del minore al momento del fatto.
3.1 Come correttamente osservato dal P.G. ricorrente, il difetto di prova della capacità di intendere e di volere è stato ricavato da considerazioni sostanzialmente generiche senza un riferimento preciso alle modalità dei fatti e soprattutto ad alcune informazioni sulla personalità del minore desumibili da specifici atti processuali evidenziati dal P.G. ricorrente (interrogatorio del 18.10.2005) del quale non è alcun cenno nella sentenza.
3.2 Nè può condividersi la sintetica affermazione del Tribunale di una impossibilità di valutare più appropriatamente la personalità del minore per il suo sopravvenuto stato di irreperibilità e per il tempo trascorso dal fatto, dovendosi invece fare riferimento ad atti processuali esistenti dei quali il Tribunale non ha tenuto conto. 4. Sulla base di tali considerazioni la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale dei Minorenni di Torino affinché proceda ad un nuovo esame in mento alla personalità e grado di maturità dell’imputato all’epoca dei fatti in relazione alla natura ed entità di quei fatti e del particolare ruolo rivestito dal minore nella vicenda processuale che lo riguarda.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale dei Minorenni di Torino.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2013