Il reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346 bis cod. pen., introdotto dalla Legge 190/2012, trattandosi di delitto propedeutico alla commissione dei reati di corruzione propria – come si desume agevolmente dall’inciso iniziale contenuto nell’art. 346 bis comma 1 – non è configurabile in una situazione un cui sia stato accertato un rapporto alterato e non paritario tra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato.
(Cass. Sezione VI Penale, 11 febbraio – 12 marzo 2013, n. 11808)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola – Presidente –
Dott. LANZA Luigi – rel. Consigliere –
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –
Dott. APRILE Ercole – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
personalmente da:
C, nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 29.11.12 del Tribunale di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. LETTIERI Nicola, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
uditi per l’indagato l’avv. OMISSIS e l’avv. OMISSIS, che hanno concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Roma, adito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava il provvedimento del 05/11/2012 con il quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto nei confronti di C. l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al delitto di concussione continuata per avere, dal 2004 e fino al maggio del 2009, abusando della sua qualità di magistrato della Corte dei conti, ripetutamente indotto l’Imprenditore D a corrispondergli indebitamente denaro o altra utilità: in particolare, dopo che il P si era aggiudicato l’appalto per la costruzione della Scuola di polizia di Nettuno, aveva costretto o quanto meno indotto lo stesso a pagargli un vestito (del valore di 900 Euro) ed a mettergli a disposizione un ufficio sito in (OMISSIS), che il P aveva preso in locazione, ristrutturato ed arredato (affrontando spese per 23.000 Euro), pagando poi i canoni e le relative utenze, per un ammontare di 112.000 Euro circa, lasciando intendere che l’aggiudicazione di quell’appalto fosse dipesa da un suo intervento presso il provveditore alle opere pubbliche e che, grazie alle sue conoscenze, avrebbe potuto favorire o danneggiare l’imprenditore in gare future; ancora, dopo che il P si era aggiudicato l’appalto per la costruzione della caserma della Guardia di finanza di Oristano, dapprima aveva chiesto inutilmente allo stesso di acquistargli una vettura Maserati del valore di 200.000 Euro circa, quindi l’aveva costretto o indotto a stipendiargli un autista da febbraio 2005 a giugno 2006 per un importo 1.200 al mese e ad effettuare la manutenzione della sua auto, anche in questo caso lasciando intendere che quell’aggiudicazione era avvenuta per i suoi buoni uffici e che, grazie alle sue conoscenze, avrebbe potuto favorirlo o danneggiarlo in futuro; ed infine, dopo che il P. si era aggiudicato l’appalto per la costruzione della piscina di OMISSIS, dapprima aveva chiesto inutilmente allo stesso una percentuale sull’importo dei lavori ovvero la ristrutturazione di una casa a OMISSIS, in seguito lo aveva costretto o, quanto meno, indotto a corrispondergli indebitamente, nel maggio del 2009, 35.000 Euro, somma che l’indagato aveva riscosso pur reputandola inadeguata.
Rilevava il Tribunale come le emergenze procedimentali avessero dimostrato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato con riferimento al reato addebitatogli, desumibili, in particolare, dalle precise dichiarazioni rese dalla persona offesa P le quali, qualificabili in termini di propalazioni di un indagato di reato connesso (essendo questi sottoposto ad indagini per il reato di corruzione con riferimento a vicende procedimentali collegate), erano risultate riscontrate in maniera individualizzate, con riferimento alla posizione del C, dal dati conoscitivi desumibili dalle intercettazioni telefoniche eseguite dagli inquirenti, dalle deposizioni rese da varie persone informate dei fatti e dalla documentazione acquisita; e come la propensione del predetto ad usare il prestigio e l’autorevolezza derivanti dalle alte funzioni pubbliche esercitate per potersi arricchire, avessero provato l’esistenza di un concreto ed attuale rischio di recidiva fronteggiabile esclusivamente con il mantenimento della misura coercitiva applicata.
2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il C, con due distinti atti sottoscritti dai suoi difensori di fiducia avv. OMISSIS e avv. OMISSIS, il quale, articolando la doglianza su più punti (alcuni dei quali comuni ai due atti di impugnazione), ha dedotto il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere il Tribunale del riesame confermato il provvedimento genetico della misura cautelare:
– giudicando, in maniera irragionevole, non credibile le dichiarazioni rese dal teste D, raccolte dal difensore ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. pen., benchè lo stesso avesse una posizione procedi menta le, di indagato di reato connesso, identica a quella dell’accusatore P; e, nonostante che il D, negando di aver mai rivolto al P una sollecitazione “a tenere buono” il C, avesse smentito la presunta vittima della concussione che, invece, aveva riferito di quella “pressione” e della sua conseguente dazione, nel 2009, di 35.000 Euro in favore dell’odierno indagato;
– ritenendo, in maniera Illogica, che il rapporto di amicizia esistente tra il C. ed il P. non avesse escluso la possibilità dell’esercizio di un metus da parte del primo in danno del secondo, laddove la situazione di assoggettamento del privato rispetto al pubblico ufficiale si sarebbe concretizzato esclusivamente in occasione dell’indicato “Intervento” del D. S., verificatosi a distanza di molti anni dalle presunte dazioni di utilità oggetto di addebito;
– omettendo di considerare che il P. non poteva temere le iniziative “ritorsive” del C., per il caso in cui non avesse soddisfatto le sue pretese, dato che il primo era stato ormai stabilmente inserito nel gruppo degli imprenditori che godevano dei rapporti con il B e con altri soggetti gravitanti nello stesso contesto, con i quali il P aveva relazioni confidenziali e dirette;
– reputando che la parola accusatrice del P nei confronti del C fosse stata riscontrata dagli elementi di conoscenza acquisiti dagli inquirenti, dati invero idonei a corroborare al più le indicazioni circa le dazioni di utilità, ma non anche quelle inerenti agli altri elementi costitutivi del delitto contestato, quali l’abuso delle qualità da parte del pubblico ufficiale e l’impiego di condotte costrittive o induttive nei confronti della vittima;
– considerando intrinsecamente attendibili le deposizioni del P, laddove le stesse erano risultate, invece, fortemente condizionate dalla volontà di recuperare le somme in precedenza versate al C e, comunque, scarsamente credibili perchè prive di riferimenti temporali precisi;
– travisando le prove, in particolare affermando che i rapporti tra il C ed il P si fossero “raffreddati” nella seconda metà del 2006, circostanza non emergente da alcuna carte del procedimento, e che la dazione della menzionata somma di 35.000 Euro fosse stata riscontrata dal prelievo bancario effettuato dal teste C, dipendente del P, prelievo invece, almeno in parte, giustificato dalla necessità di pagare gli stipendi agli operai della società facente capo al P medesimo.
1. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato.
2. La gran parte dei motivi formulati con gli atti di impugnazione sono inammissibili in quanto presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Lungi dall’evidenziare manifeste lacune o incongruenze capaci di disarticolare l’intero ragionamento adottato dai giudici di merito, il ricorrente ha formulato censure che riguardano sostanzialmente la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze già valutate dal Tribunale del riesame: censure, come tali, non esaminabili dalla Cassazione. Ed infatti, è pacifico come il controllo dei provvedimenti di applicazione della misure limitative della libertà personale sia diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato, nonchè il valore sintomatico degli indizi medesimi anche in relazione alla sussistenza di esigenze cautelari e alla scelta di una misura adeguata alle medesime esigenze e proporzionata ai fatti. Controllo che non può comportare un coinvolgimento del giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito in ordine all’attendibilità delle fonti ed alla rilevanza e concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
Questa Corte ha, dunque, il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e l’esistenza di bisogni di cautela a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de liberiate (si veda, ex multis, Sez. u, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv.
215828).
3. Alla luce di tali regulae iuris, bisogna riconoscere come i giudici di merito abbiano dato puntuale contezza degli elementi indiziari sui quali si fonda il provvedimento cautelare. Dati informativi dai quali, in termini esaurientemente congrui e logicamente ineccepibili, il Tribunale (anche richiamando il più completo apparato argomentativo dell’ordinanza oggetto di riesame) ha desunto la conferma dell’esistenza del requisito della gravità indiziaria, sottolineando -con specifico riferimento agli aspetti in cui si sono sostanziale le doglianze difensive – come:
– le dichiarazioni rese, in sede di indagine difensiva, dal D non fossero sufficienti a smentire la narrazione della persona offesa P., in quanto provenienti da soggetto tutt’altro che disinteressato rispetto alla vicenda, trattandosi di persona sottoposta ad indagini per ulteriori e altrettanto gravi reati oggetto della medesima indagine: intervento del D che ben avrebbe potuto qualificarsi come contributo causale alla commissione del reato, tenuto conto che, come riferito dalla vittima della concussione, era servito ad accreditare la “forza” e la “autorevolezza” del C agli occhi del P, beneficiario degli appalti aggiudicatigli per volontà del B, e cioè da colui che proprio il C aveva presentato al P (v. pag. 3 ord. impugn.);
– l’attività concussiva del C in danno del P, caratterizzata da un palese abuso della qualità di magistrato della Corte dei conti e da una velata prospettazione dell’abuso dei poteri collegati all’esercizio di quelle funzioni, si fosse intrecciata con il pluriennale rapporto di amicizia che aveva legato i due protagonisti, relazione che non aveva impedito la commissione dei singoli episodi di concussione, qualificabili inizialmente, e fin dal 2004, in termini di induzione e poi, con riferimento all’ultimo fatto del 2009, di costrizione, sostanziandosi l’attività di pressione o di coartazione psicologica nella pretesa di dazioni di denaro o altre utilità verificatesi sistematicamente in occasione ovvero subito dopo l’assegnazione in favore della società del P di appalti da parte di pubblici ufficiali collegati al C (v.pagg. 2 e 5-6 ord. impugn.);
– il P avesse esplicitamente spiegato come si fosse determinato a prestare quelle utilità ovvero a consegnare quella somma di denaro in favore del C proprio perchè questi aveva fatto “pesare” le sue qualità di pubblico ufficiale, in maniera tale da provocargli uno stato di timore e, dunque, di assoggettamento psicologico, lasciando intendere non solo che la prosecuzione degli aggiudicazioni di quei lucrosi appalti sarebbe stata condizionata – indipendentemente dalie relazioni dirette che il P poteva avere, nel frattempo, intessuto – proprio dalle sue capacità di intervento e di influenza su altri funzionar della cosa pubblica, ma che da lui sarebbero dipeso anche l’esito di altre iniziative, quale quella di ottenere un rilevante affido bancario (v. pagg. 4-5 ord. impugn.);
– l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni accusatorie del P fosse stata avvalorata dai sufficientemente precisi riferimenti cronologici offerti dal propalante, soprattutto con riferimento alle connessioni logiche e temporali con le aggiudicazioni degli appalti di lavori pubblici di volta in volta conseguiti, peraltro riscontrate dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate durante le indagini (v. pag. 4 ord. impugna;
e pag. 30 ord. Gip): senza la credibilità fosse stata inficiata dalla iniziativa della moglie della vittima, legale rappresentante della società appaltatrice, la quale, in epoca successiva alla consumazione del reato, aveva cercato di recuperare, almeno in parte, dal C. il denaro ovvero il controvalore delle utilità dallo stesso ottenute (v. pag. 3 ord. impugn.);
– il “raffreddamento” delle relazioni tra il C. ed il P. (peraltro, ipotizzato solo in termini dubitativi) fosse il frutto della constatazione, operata dai Giudici di merito, di un rapporto illecito concretizzatosi in ripetute pretese concussive realizzatesi tra il 2004 ed il 2006, poi temporaneamente sospese, e riprese nel 2007 con l’aggiudicazione in favore della società del P. di un nuovo importante appalto pubblico, quello per la costruzione di una piscina per i Mondiali di nuoto, rientrante nelle opere dei così detti “Grandi Eventi” (v. pag. 4 ord. impugn.);
– l’accertato prelievo bancario di una rilevante somma di denaro da parte di un dipendente della società del P., proprio nel periodo cui questi aveva riferito della indicata dazione indebita della somma di 35.000 Euro in favore del C, ben potesse ritenersi un valido riscontro estrinseco alla attendibilità delle deposizioni dell’accusatore, tanto più che l’accusato aveva, anche se parzialmente, accennato alla circostanza di un prestito, riconoscendo, comunque, di aver ricevuto la gran parte delle altre utilità provenienti dal P, per non meglio chiarite ragioni personali “di mera amicizia” o “di cortesia”, invero prive di qualsivoglia plausibile causale che non fosse quella connessa alla consumazione del reati in esame (v. pagg. 3-4 ord. impugn.).
4. Quanto poi alla lamentata illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui sarebbero stati valorizzati elementi idonei a riscontrare la sussistenza solo di alcuni (le dazioni di utilità) degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice addebitata, e non altri (l’abuso delle qualità e le condotte costrittive o induttive), va osservato come tale motivo, più correttamente qualificabile in termini di possibile violazione di legge, è infondate, atteso che è pacifico che, nel caso di verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni accusatole di un indagato di reati connessi o collegati, la ricerca dei riscontri non deve sostanziarsi nella individuazione di elementi fattuali o logici idonei a provare essi stessi direttamente il fatto di reato ovvero suoi singoli elementi, bensì a riscontrare – come nella fattispecie è stato accertato, con una valenza palesemente individualizzante a carico dell’odierno ricorrente – i passaggi essenziali della narrazione dell’accusatore, sì da corroborarne indirettamente la credibilità globale.
In conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, va, dunque, ribadito il principio di diritto per il quale, in tema di valutazione delle dichiarazioni di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, i riscontri esterni, non predeterminati nella specie e qualità, possono essere, in via generale, di qualsiasi tipo e natura, tratti sia da dati obiettivi, quali fatti e documenti, sia da dichiarazioni di altri soggetti, purchè siano idonei a convalidare “aliunde” l’attendibilità dell’accusa, tenuto anche presente, comunque, che oggetto della valutazione di attendibilità da riscontrare è la complessiva dichiarazione concernente un determinato episodio criminoso, nelle sue componenti oggettive e soggettive, e non ciascuno dei particolari riferiti dal dichiarante (così, tra le tante, Sez. 1, n. 6784 del 01/04/1992 – dep. 06/06/1992, Bruno ed altri, Rv. 190535).
5. Va d’ufficio esaminata la questione concernente l’esatta configurabilità dei reati accertati, in conseguenza della sopravvenuta entrata in vigore della legge 190/12, che, come è noto, nel novellare la disciplina di vari reati contro la pubblica amministrazione, ha sostituito l’art. 317 c.p., con l’introduzione di una nuova fattispecie di “concussione” configurabile solo per costrizione del privato, ed ha introdotto il nuovo art. 319 quater c.p., riguardante la nuova figura criminosa della “induzione indebita a dare o promettere utilità”, sostanzialmente intermedia tra la residua figura della condotta concussiva sopraffattrice e l’accordo corruttivo, che può integrare uno dei reati previsti dagli artt. 318 o 319 c.p..
Ora, tenuto conto che, nel caso di specie, le condotte addebitate all’odierno ricorrente sono state qualificate in termini di concussione sia per induzione che per costrizione, il problema che pone l’impugnazione portata all’odierna attenzione di questo Collegio non è tanto quello di definire il criterio discretivo tra le due nuove fattispecie innanzi delineate, bensì quello di chiarire se, a seguito della entrata in vigore della novella del 2012, sia ipotizzarle una qualche forma di abolitio criminis, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2 ovvero una mera successione di leggi penali nel tempo regolata dall’art. 2 c.p., comma 4, essendo riconoscibile una continuità di tipo di illecito tra il precedente ed il nuovo reato di concussione per costrizione, introdotto con la legge del 2012 in argomento.
La Corte ritiene di dover privilegiare la seconda delle indicate soluzioni.
In tal senso va valorizzato, per un verso, l’esito del confronto strutturale tra le considerate fattispecie, che permette agevolmente di rilevare come, a parte l’esclusione, come soggetto attivo, della figura dell’incaricato di pubblico servizio, il legislatore della novella abbia riproposto nel nuovo art. 317 c.p. una descrizione degli elementi costitutivi del reato di concussione per costrizione sostanzialmente identica a quella prevista per gli elementi costitutivi del reato di concussione per costrizione di cui al previgente art. 317 c.p. ; e, nel nuovo art. 319 quater c.p., con riferimento alla posizione del pubblico funzionario, una descrizione degli elementi costitutivi della induzione indebita assimilabile a quella prevista per gli elementi costitutivi del reato di concussione per induzione di cui all’ art. 317 c.p..
Per altro verso, l’analisi del giudizio di disvalore, che qualifica le due fattispecie, risultante identico in entrambe le norme, essendo ugualmente colpite – fatto salvo l’aumento, con la nuova legge, del trattamento sanzionatorio per la concussione per costrizione e l’estensione dell’area di punibilità al soggetto indotto, nella induzione indebita, che evidentemente non può avere una efficacia retroattiva – vicende criminose identiche, consistenti nelle iniziative di costrizione o di induzione illecite poste in essere da pubblici ufficiali.
Nè allo stato appare configurabile, nel caso in esame, il diverso reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346 bis cod. pen., introdotto dalla già citata Legge 190/12, trattandosi di delitto propedeutico alla commissione dei reati di corruzione propria – come si desume agevolmente dall’inciso iniziale contenuto nel dell’art. 346 bis comma 1 – e, dunque, non riconoscibile in una situazione, quale quella la cui sussistenza, nel caso di specie, è stata accertata in via indiziaria, di alterato e non paritario rapporto tra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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