(Magistrato di Sorveglianza di Alessandria, ordinanza 3 luglio 2013, Giudice Vignera)
UFFICIO DI SORVEGLIANZA
a scioglimento della riserva posta all’esito dell’udienza del 3 luglio 2013, ha pronunciato la seguente
nel procedimento di sorveglianza relativo all’esame della pericolosità sociale per applicazione della misura di sicurezza della espulsione dal territorio dello Stato nei confronti di L. L. D. M., nata il XXXX in Colombia – domiciliata in Alessandria – Via XXXX, difeso d’ufficio dall’Avv. D. B. del Foro di Alessandria, in relazione alla misura di sicurezza applicata con la sentenza emessa il 17.2.11 dalla Corte Appello di Genova (in parziale riforma sentenza in data 2.11.04 del GUP del Tribunale di Genova).
Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato;
Verificata la regolarità delle comunicazioni e delle notificazioni degli avvisi al rappresentante del P.M., all’interessato ed al difensore;
Considerate le risultanze delle documentazioni acquisite, degli accertamenti svolti, della trattazione e della discussione di cui a separato processo verbale;
Udite le conclusioni del rappresentante del P.M. e del difensore;
quanto segue.
1. – Con sentenza in data 17 febbraio 2011 la Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Genova emessa il 2 novembre 2004 a seguito di giudizio abbreviato, dichiarava la cittadina colombiana L. L. D. M. colpevole dei delitti ex artt. 110 c.p.-73 DPR 309/1990 e 74 stesso DPR (concorso in importazione e detenzione di stupefacenti e partecipazione ad associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti: fatti commessi tra il febbraio 2001 ed il luglio 2002), condannandola alla pena di anni 5, mesi 4 di reclusione ed applicandole contestualmente la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato.
I fatti di cui al titolo esecutivo riguardavano un traffico di sostanze stupefacenti tra la Colombia ed il Nord-Italia (lungo la rotta aerea Colombia o altro Paese Sudamericano-Curacao-Amsterdam-Genova) avente ad oggetto prevalentemente cocaina.
Il ruolo svolto dalla L. L. (di cui era coimputata – tra gli altri – una delle due figlie, attualmente residente a Genova) consisteva nel ricevere i corrieri provenienti dal Sud-America con la sostanza stupefacente, nell’organizzare il recupero della sostanza, nel dare ospitalità ai corrieri stessi e nel curarne il rientro in patria.
Non risultano precedenti nè pendenze.
L’esecuzione della pena è iniziata il 10 maggio 2012 e (applicato l’indulto, dedotto il presofferto e concesse le liberazioni anticipate) è terminata il 27 aprile 2013.
La maggior parte della pena è stata eseguita nel regime ex art. 1 l. 199/2010 (presso l’abitazione di una figlia sita in Alessandria, Via XXXX) in virtù di provvedimento emesso dal Magistrato di Sorveglianza di Genova in data 6 agosto 2012 in considerazione (tra l’altro) della “disponibilità del genero a sostenerla economicamente”.
L’odierna udienza è stata fissata per il riesame della pericolosità sociale della condannata ai fini dell’esecuzione della suindicata misura di sicurezza.
Le Forze di Polizia hanno comunicato:
– i precedenti della L. L.;
– l’osservanza delle prescrizioni inerenti alla misura ex art. 1 l. 199/2010;
– la sua irregolare posizione nel territorio dello Stato (più esattamente, la Questura di Alessandria-Ufficio Immigrazione il 16 marzo 2013 ha fatto presente al riguardo che la predetta era titolare di un permesso di soggiorno concesso dalla Questura di Genova per motivi familiari “in quanto madre di cittadina italiana”, che è scaduto il 14 agosto 2010 e di cui non è stato chiesto il rinnovo; e che la stessa “è nonna di cittadina italiana minorenne”];
– tra il 2008 ed il 2010 ha collaborato (in parte a titolo di volontariato ed in parte con retribuzione) presso la ONLUS “Comitato per i diritti civili delle prostitute” (il suo compito era quello di “mediatrice culturale” tra le prostitute di origine latino-americana e le addette alla organizzazione: v. verbale delle sommarie informazioni rese alla Questura di Genova da XXXX).
L’UEPE di Alessandria (con la relazione in data 10 aprile 2013, integrata il 4 giugno 2013 su richiesta di questo Ufficio) ha riferito che la L. L.:
– dopo un matrimonio in Colombia (da cui ha avuto tre figlie: la prima residente in Alessandria, che la ospita; la seconda residente a Genova e la terza rimasta in Colombia) è giunta in Italia nel 1985;
– dopo spostamenti in varie città italiane, nel 1994 ha contratto matrimonio a Genova con un cittadino italiano (operaio portuale);
– dall’unione sono nati 2 figli, che oggi hanno 21 e 16 anni;
– nel 2000 i coniugi si sono separati consensualmente con affidamento dei figli al padre;
– dopo la separazione, la donna aveva continuato a vivere presso la ex abitazione familiare in Genova;
– il marito ed i figli hanno continuato ad avere con lei “rapporti buoni”;
– riceve dal marito un contributo economico pari oggi ad euro 300 mensili;
– vive attualmente in Alessandria con la figlia (impegnata saltuariamente come colf) e con la nipote, che la figlia stessa ha avuto da una relazione con un uomo italiano morto suicida;
– dopo aver fatto parte della predetta ONLUS, attualmente non svolge alcuna attività lavorativa documentabile;
– “vive con ansia la prossima udienza per l’espulsione, che la allontanerebbe dai figli”.
2. – La pericolosità sociale della L. L. non può considerarsi definitivamente e/o totalmente cessata.
Invero, al dato positivo rappresentato dal mancato compimento di altri reati in epoca successiva ai gravi fatti di cui al titolo esecutivo, si contrappongono elementi “neutri” ed elementi negativi.
“Neutri” (non significativi, cioè, ai fini della prognosi della attuale di pericolosità della condannata) sono in particolare i sostegni affettivi costituiti dalle due figlie colombiane (una delle quali, peraltro, correa della L. L.) e dai figli italiani: di tali sostegni, invero, la predetta disponeva già all’epoca della commissione dei gravi reati di cui al titolo esecutivo ed essi, pertanto, di per sè non sono idonei oggi a ridimensionare la pericolosità sociale della persona così come non sono stati idonei in passato a prevenire la consumazione di quei reati.
Sicuramente negativi, poi, sono i seguenti elementi:
– la mancanza di adeguati sostegni economici [non svolgendo la condannata alcuna attività lavorativa, essendo deceduto il genero che aveva dato la disponibilità a sostenerla in occasione della concessione del beneficio ex art. 1 l. 199/2010, essendo saltuaria l’attività lavorativa di “colf” svolta dalla figlia “ospitante” (che tra l’altro deve provvedere pure alle esigenze della propria figlia undicenne) e non apparendo sufficiente ad assicurare la completa “autonomia economica” della condannata l’assegno di 300 euro mensili corrispostole dal marito);
– l’irregolare posizione nel territorio dello Stato, che impedisce di fatto un completo ed effettivo inserimento nel contesto sociale italiano;
– la mancata emersione (nei lunghi anni decorsi dalla consumazione dei reati in discorso) di elementi univocamente sintomatici dell’evoluzione della personalità della condannata verso modelli di vita socialmente adeguati: tale, in particolare, non può considerasi la (peraltro non più attuale) attività svolta per conto del “Comitato per i diritti civili delle prostitute” perchè (a parte le motivazioni della L. L., che si ignorano) la stessa rivela una certa contiguità della donna con un “contesto” (quello della prostituzione), che rasenta i confini della legalità (non di rado “varcandoli”).
Rispetto al momento dell’applicazione della misura di sicurezza in questione da parte del Giudice della cognizione, quindi, nella fattispecie non sono sopravvenuti quegli elementi sicuramente ed univocamente sintomatici di una completa cessazione della pericolosità sociale della condannata: di guisa che quella misura non può essere oggi revocata (cfr. Cass. pen., Sez. I, 7 maggio 1993, Padovano, in Cass. Pen., 1994, 3000: “Il magistrato di sorveglianza nel disporre la libertà vigilata nei confronti di persona condannata alla quale sia stata comminata tale misura di sicurezza, è tenuto ad accertare la persistenza della pericolosità sociale riferita al momento dell’applicazione della misura. In tale situazione, la revoca anticipata di detta misura rimane esclusa, a norma 207 c.p. ‘se la persona ad essa sottoposta non ha cessato di essere socialmente pericolosa’: la puntuale osservanza di tale regola postula una sicura e positiva valutazione della cessazione della pericolosità per fatti sopravvenuti e concludenti, non consentendo il mero dubbio, al riguardo, il superamento – anche dopo l’intervento della Corte costituzionale – della prognosi già effettuata e l’anticipazione del riesame della pericolosità da effettuarsi a norma del successivo art. 208”).
3. – All’esecuzione dell’espulsione applicata con la surricordata sentenza della Corte di Appello di Genova non osta il fatto che la condannata attualmente coabita (nell’appartamento sito in Alessandria, Via XXXX) con la nipote (= la figlia della figlia) C. V. S., che è cittadina italiana (v. comunicazione della Questura di Alessandria in data 16 marzo 2013).
Codesta circostanza, invero, non rende configurabile ex se il divieto di espulsione ex art. 19, comma 2, lettera c), d. lgs. 286/1998, il quale presuppone la convivenza dello straniero con parenti entro il secondo grado (o con il coniuge) di nazionalità italiana (v. sin d’ora ed esemplificativamente Cass. civ., Sez. I, 3 novembre 2006 n. 23598, secondo cui la prova di tale presupposto è a carico dello straniero).
Va precisato, infatti, che la “convivenza” è concetto giuridicamente distinto dalla “coabitazione materiale” (che si risolve nella semplice circostanza di fatto rappresentata dal dimorare “sotto lo stesso tetto”), essendo coessenziale alla prima un quid pluris concretantesi nell’esistenza di una relazione interpersonale abituale e stabile caratterizzata “da una comunanza di vita e di affetti con vicendevole assistenza morale e materiale” (così Cass. civ., Sez. III, 29 aprile 2005 n. 8976; nello stesso senso v. ex plurimis Cass. civ., Sez. I, 25 maggio 2007 n. 12314; Cass. civ., Sez. III, 23 novembre 1990 n. 11328).
Orbene!
Nella fattispecie è assai dubbia la sussistenza di una convivenza in senso proprio tra la condannata e la nipote C. V. S.
Invero, il trasferimento della L. L. presso l’abitazione della figlia in Alessandria sembra essere avvenuto non in funzione dell’instaurazione di una convivenza stricto sensu (cioè: di relazione stabile e continuativa caratterizzata da una comunanza di vita materiale e spirituale) con la figlia S. L. L. P. e/o la nipote (figlia di quest’ultima) C. V. S., ma solamente in via provvisoria ed in funzione dell’esecuzione della misura ex art. 1 l. 199/2010 concessale dal Magistrato di Sorveglianza di Genova nell’agosto 2012.
Tutto ciò si desume dai seguenti indizi (gravi, precisi e concordanti):
– prima dell’agosto 2012 la L. L. è vissuta a Genova (come si evince dalle relazioni dell’UEPE e dalle informazioni di Polizia in atti);
– a Genova la stessa ho operato sino al 2010 per conto della ONLUS denominata “Comitato per i diritti civili delle prostitute” (v. nota della Questura di Genova in data 20 giugno 2013);
– non risulta né è stato allegato dall’interessata alcun tentativo di un suo inserimento nel contesto socio-economico alessandrino;
– la medesima non risulta neppure iscritta nello stato di famiglia della figlia e della nipote (v. certificazione allegata alla nota della Questura di Alessandria-Ufficio Immigrazione in data 16 marzo 2012);
– la L. L. non ha mai richiesto al Questore di Alessandria il permesso di soggiorno per motivi familiari, cui avrebbe avuto diritto in caso di convivenza effettiva con la nipote cittadina italiana [v. art. 28, lettera b), DPR 31 agosto 1999 n. 394].
dichiara attuale la pericolosità sociale di L. L. D. M. ed ordina la sua espulsione dal territorio dello Stato.