Qualora il condannato al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna si trovi agli arresti domiciliari l’esecuzione della pena deve già considerarsi in atto.
Pertanto, competente a decidere sulla richiesta di applicazione di misure alternative alla detenzione è, secondo la regola generale dettata dall’art. 677 c.p.p., comma 1, il tribunale di sorveglianza nella cui giurisdizione si trova il condannato al momento della presentazione di detta richiesta.
(Cass. Sezione I Penale, 21 novembre – 19 dicembre 2014, n. 52994)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristina – Presidente –
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –
Dott. BONITO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe – Consigliere –
Dott. LA POSTA Lucia – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

Sentenza
sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso il decreto n. 112/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA, del 31/01/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
lette le conclusioni del PG Dott. SALZANO Francesco che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
1. Con decreto in data 31.1.2014 il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Perugia dichiarava inammissibile, ex art. 666 c.p.p., comma 2, per difetto delle condizioni di legge l’istanza finalizzata all’ammissione alla misura alternativa dell’affidamento terapeutico D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94 avanzata da OMISSIS, detenuto agli arresti domiciliari presso una comunità terapeutica di (OMISSIS), ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 10.
2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, il OMISSIS che denuncia, in primo luogo, la violazione di legge con riferimento all’art. 656 c.p.p., comma 6 secondo il quale l’istanza volta all’applicazione della misura alternativa deve essere trasmessa al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha promosso la sospensione dell’esecuzione e tale competenza, per il principio della perpetuano iurisdictionis, resta insensibile agli eventuali mutamenti.
Pertanto, nel caso di specie, il tribunale di sorveglianza competente è quello di Roma.
Con il secondo motivo censura per violazione di legge la inammissibilità dichiarata del plano, ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 2, benchè fondata su ragioni di merito che dovevano essere valutate nel contraddittorio della camera di consiglio.
Infine, il ricorrente con il ricorso rivolge, altresì, istanza al tribunale di sorveglianza volta alla sospensione dell’esecutività del decreto censurato che comporterebbe l’effetto pregiudizievole della interruzione del programma terapeutico in atto.
Ad avviso del Collegio, il ricorso non è fondato.
1. Quanto alla competenza deve rilevarsi che il condannato si trova sottoposto alla misura degli arresti domiciliari presso una comunità in applicazione dell’art. 656 c.p.p., comma 10, pertanto, come è stato ripetutamente affermato in base alla letterale interpretazione di detta disposizione, qualora il condannato al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna si trovi agli arresti domiciliari, l’esecuzione della pena deve già considerarsi in atto; ne consegue che, non stabilendosi nella citata norma alcun criterio di determinazione della competenza (poichè si richiama soltanto la situazione considerata dal comma 5 e non anche la disciplina speciale dettata in materia di competenza dal successivo comma 6), competente a decidere, nell’ipotesi data, sulla richiesta di applicazione di misure alternative alla detenzione è, secondo la regola generale dettata dall’art. 677 c.p.p., comma 1, il tribunale di sorveglianza nella cui giurisdizione si trova il condannato al momento della presentazione di detta richiesta (Sez. 1, n. 491 del 24/01/2000, Di Giovanni, rv. 215385; Sez. 1, n. 44914 del 22/11/2005, Vacca, rv 233993).
2. Anche il secondo motivo, per come proposto, non è fondato avendo il ricorrente rilevato che nel decreto presidenziale impugnato è stata operata una valutazione di merito in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura alternativa invocata.
Invero, nel provvedimento impugnato si rileva la inammissibilità della richiesta di applicazione della misura di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94 per mancanza dei presupposti, valutazione preliminare che rientra tra quelle consentite ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 2; nè il ricorrente deduce l’errata esclusione dei presupposti di ammissibilità della misura richiesta.
In conclusione, quindi, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento della spese processuali.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese processuali.