Si configura l’aggravante del deposito necessario ex art. 646, comma 2, c.p. in caso di deposito cui taluno è costretto da un evento eccezionale come, ad esempio, un incendio, una rovina, un saccheggio, un naufragio o altro avvenimento non prevedibile.

(Cass. Sezione II Penale, 10 gennaio – 1 marzo 2013, n. 9750)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMMINO Matilde – Presidente –
Dott. GALLO Domenico – Consigliere –
Dott. TADDEI Margherita Bianc – Consigliere –
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –
Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
OMISSIS non ricorrente;
avverso la sentenza n. 174/2011 della Corte d’Appello di Roma, del 31/05/2011;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Giovanni Ariolli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Riello Luigi, il quale ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata; in subordine dichiararsi la prescrizione del reato.
Udito il difensore, per la parte civile, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il difensore, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata.
1. Con sentenza in data 31/5/2011, la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma, in composizione monocratica, in data 15/1/2009 che aveva condannato OMISSIS, concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante contestata, alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 500,00 di multa (pena sospesa), in ordine al reato di cui all’art. 646 c.p., comma 2, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile OMISSIS in proprio e iure successionis, da liquidarsi in separata sede.
2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato, il quale ne chiede l’annullamento, deducendo: 1) ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) erronea applicazione dell’art. 646 c.p., comma 2, e art. 1864 c.c., nella parte in cui, a fronte della tardività della querela, ha ritenuto procedibile d’ufficio il reato, in forza della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui al capoverso dell’art. 646 c.p.. A tale riguardo, premesso che la ragione giustificatrice di tale circostanza è nella impossibilità di prescegliere il depositario, osserva come il deposito necessario cui si riferisce la citata disposizione sia quello che il codice civile abrogato contemplava nell’art. 1864 e, precisamente, quello a cui uno è costretto da qualche accidente, come un incendio, una rovina, un saccheggio, un naufragio o altro avvenimento non prevedibile. Tale nozione, anche in virtù dell’equiparazione dell’altro avvenimento non preveduto a quelli specificati nell’immediata precedenza, si presta dunque a comprendere gli eventi di natura eccezionale e, in secondo luogo, di portata ed estensione per così dire collettive. In tale ambito, dunque, non potrebbe rientrare l’arresto del conduttore dell’autosalone di proprietà dell’imputato, ove si trovavano le autovetture oggetto di appropriazione. Tale evenienza, di portata individualistica, sarebbe comunque fronteggiabile con gli ordinari mezzi disposti dall’ordinamento e priva del carattere dell’eccezionalità. Difetterebbero poi i presupposti del deposito necessario: sia perchè l’offeso non ha depositato alcunchè presso l’autosalone, ivi già trovandosi le autovetture oggetto di appropriazione; sia perchè il gestore, a sua volta, non ha effettuato alcun deposito imposto da circostanze del tutto eccezionali, avendo semplicemente custodito le due autovetture presso l’autosalone da lui condotto in locazione e di proprietà dell’imputato; 2) ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, per mancanza di motivazione, risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato in ordine alla dedotta tardività della querela, avendo omesso il giudice di seconde cure di prendere in esame la dedotta eccezione di improcedibilità, ritenendola assorbita per via della corretta contestazione dell’aggravante; a tale riguardo, rileva, inoltre, la sussistenza di ragioni fattuali che renderebbero superfluo l’annullamento con rinvio della decisione impugnata, risultando dagli elementi di natura cronologica acquisiti al processo che il termine per la proposizione della querela era scaduto il giorno della sua presentazione; 3) ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) erronea applicazione degli artt. 646 e 43 c.p. per avere ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato, a fronte di un rapporto tra l’imputato ed il gestore-conduttore dell’autosalone in forza del quale quest’ultimo gli aveva raccomandato, in conseguenza della consegna delle chiavi avvenuta al momento del suo arresto, di non consegnare le autovetture a terzi; 4) ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, per contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato in ordine, in via del tutto subordinata, alla negata concessione della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, beneficio escluso dalla Corte territoriale in quanto ritenuto non necessariamente consequenziale alla sospensione condizionale della pena già concessa dal giudice di primo grado e in forza di un giudizio negativo della personalità dell’imputato che collide con la dichiarata presunzione della futura astensione dal commettere altri reati formulata dal giudice di prime cure.
3. Il ricorso è fondato quanto alla dedotta insussistenza della circostanza aggravante di cui al capoverso dell’art. 646 c.p. e quanto al difetto della condizione di procedibilità.
3.1. I giudici di merito hanno ritenuto esistente l’aggravante del deposito necessario e, quindi, la procedibilità d’ufficio del reato, sul presupposto che l’imputato si era appropriato delle autovetture custodite in un immobile di sua proprietà adibito ad autosalone, a seguito dell’arresto del gestore, il quale si era visto così costretto a riconsegnargli le chiavi. Va, tuttavia, osservato che, nel caso in esame, difetta in origine qualunque rapporto negoziale tra l’imputato e la persona offesa in forza del quale il primo fosse tenuto a custodire i beni perchè ricevuti in consegna dall’altra con obbligo di restituzione. Si definisce deposito il contratto mediante il quale una parte detta depositario riceve dall’altra, detta deponente (o depositante), una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e restituirla in natura. Si pensi, ad esempio, al caso di chi affida in custodia la propria valigia al deposito bagagli della stazione o di chi lascia la propria automobile in un parcheggio custodito. La causa del deposito consiste, pertanto, nell’assicurare la custodia della cosa; al depositario non passa la proprietà nè il possesso di essa: egli la detiene soltanto, nell’interesse del depositante, e non può disporne nè servirsene senza il consenso di quest’ultimo. L’imputato conseguì la disponibilità delle autovetture soltanto a seguito della consegna delle chiavi dell’autosalone di sua proprietà da parte del gestore che era stato in quel frangente arrestato e non del proprietario dei mezzi.
I veicoli, infatti, erano stati affidati da quest’ultimo esclusivamente al titolare dell’autosalone che li aveva ricevuti in conto vendita, con ciò assumendone anche l’onere di custodia. Non vi è, quindi, alcun contratto di deposito tra l’imputato e la persona offesa, ma soltanto un passaggio intermedio di beni già presenti all’interno dell’autosalone, della cui presenza l’imputato ha approfittato, acquisendone dapprima il possesso in forza della consegna delle chiavi effettuatagli dallo stesso gestore e poi appropriandosene, allorchè li ha utilizzati e ha rifiutato di riconsegnarli al proprietario, come tale legittimato a chiederne la restituzione. La consegna temporanea delle chiavi al proprietario dell’immobile non determina il mutamento del rapporto locativo intercorrente tra le parti e, quindi, non è motivo di subentro nel contratto di deposito intercorrente tra il conduttore ed il terzo.
Nè, peraltro, nel caso di specie sono ravvisabili gli estremi del deposito c.d. necessario, il quale prescinde dai connotati di contratto intuitu personae invece caratterizzano il deposito “ordinario”. Il deposito necessario è, come noto, un istituto giuridico risalente al diritto romano (depositum miserabile) ravvisato quando una persona, trovandosi in stato di pericolo grave ed urgente, era costretta ad affidare la custodia dei beni al primo venuto. In questa evenienza il depositario che avesse abusato della situazione, comportandosi in modo contrario alla buona fede, rischiava una maggiore condanna (in duplum), giudicandosi ovviamente più grave il suo contegno illecito. L’istituto del deposito necessario era contemplato dal codice civile Zanardelli del 1865, che ne offriva all’art. 1864 la seguente definizione: quel deposito cui uno è costretto da qualche accidente, come un incendio, una rovina, un saccheggio, un naufragio o altro avvenimento non preveduto”. Lo stesso codice (artt. 1865 e 1868), precisando che il deposito necessario era sottoposto a tutte le regole previste per il deposito volontario salvo che per la prova testimoniale (consentita per il deposito necessario), introduceva specifiche disposizioni ed obblighi per particolari categorie di esercenti (osti, albergatori, vetturini). L’attuale codice civile ha nominalmente eliminato la figura del deposito necessario dal novero dei contratti, sul presupposto del sostanziale assorbimento dei crismi di particolare affidabilità propri dell’istituto nelle connotazioni normative della vigente disciplina del contratto di deposito (il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia: art. 1768 c.c.) e della novativa regolamentazione di rapporti già qualificati come depositi necessari dal codice Zanardelli (deposito in albergo: art. 1783 c.c.). L’unica traccia nominale del deposito necessario è oggi rinvenibile nell’ordinamento penale, che considera circostanza aggravante l’appropriazione di cose custodite a titolo di deposito necessario sia nel diritto comune (art. 646 c.c., comma 2) che nel diritto militare (art. 235 c.p.m., comma 2). Così ricostruita le genesi e la ratio storica dell’istituto, va, allora, sottolineato come al fondo del concetto di deposito necessario evocato e definito dall’art. 1864 c.c. del 1865, tutt’ora valido, vi sia un contesto fattuale contenutisticamente assimilabile al paradigma dello stato di necessità, il che evidentemente non ricorre nel caso di specie sia perchè non vi è rapporto diretto tra depositante e depositario, sia perchè l’evento imprevisto ed imprevedibile non colpisce il proprietario dei beni (che, nell’ipotesi tipica del deposito necessario è costretto, in conseguenza di ciò, ad affidarli “al primo venuto” che abusa della situazione), sia perchè comunque la gravità della situazione derivante dall’arresto del custode non impediva scelte alternative (avvalersi di persona di fiducia per l’eventuale prosecuzione dell’attività o altre iniziative comunque praticabili). A tale ultimo proposito, va invero precisato che seppur debba necessariamente “adattarsi” la nozione di deposito necessario al mutamento dei tempi, non può giungersi al suo stravolgimento rispetto al nucleo tradizionale. Il deposito necessario è dunque quello a cui uno è costretto da qualche accidente, come un incendio, una rovina, un saccheggio, un naufragio o apro avvenimento non preveduto. Tale ultima nozione, la quale ha la funzione di evitare un’elencazione tassativa e nominalistica degli accidenti, si presta a comprendere, stante l’equiparazione dell’altro avvenimento non preveduto a quelli specificati nell’immediata precedenza, eventi di portata assolutamente eccezionale e di incalcolabili ripercussioni collettive od individuali. Deve, quindi, trattarsi di avvenimenti improvvisi e gravi che impongono di mettere in salvo d’urgenza le cose. Tale evenienza non ricorre nel caso di specie.
3.2. L’esclusione dell’aggravante rende il reato procedibile a querela ed impone, quindi, di verificare la fondatezza dell’eccezione difensiva relativa alla tardività della querela sporta dal proprietario dei veicoli. Ebbene, in virtù della stessa ricostruzione del fatto così come operata dai giudici di merito, la condizione di procedibilità risulta tardiva, così rendendosi superfluo un rinvio al giudice del merito per accertare la tempestività o meno della condizione. Si legge, infatti, nelle decisioni di merito che, a seguito dell’arresto del gestore dell’autosalone, avvenuto nel OMISSIS, la persona offesa si era rivolta invano all’imputato per ottenere la restituzione delle due autovetture che erano rimaste nell’autosalone di quest’ultimo, tanto di persona, quanto attraverso un conoscente, quanto per mezzo del proprio avvocato. In una lettera del legale della persona offesa, datata 18.10.2005, si ribadisce che l’imputato ebbe a diffidare, più di un anno fa, la persona offesa dal presentarsi per riprendere possesso delle due auto, episodio che avvenne in presenza di testimoni, come lo stesso danneggiato ebbe a chiarire deponendo come testimone a sommarie informazioni nella stazione Carabinieri di Fiano. Ciò dimostra che la persona offesa aveva già avanzato quelle richieste rimaste poi senza esito. Se a ciò poi si aggiunge che l’offeso ebbe diretta contezza dell’uso di una delle due autovetture da parte dell’imputato (rectius, del di lui figlio) a seguito della notificazione di contravvenzioni al codice della strada avvenute nel mesi di febbraio e giugno 2005, ne consegue che, al momento della presentazione della querela, avvenuta il 15 novembre 2005, il titolare del bene-interesse protetto dalla norma aveva avuto già ragionevole contezza dell’intervenuta interversione del possesso operata dolosamente dall’imputato.
4. Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata senza rinvio, per difetto di tempestiva querela. Ne consegue che risulta superfluo l’esame degli ulteriori motivi di impugnazione, che restano assorbiti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per difetto di tempestività della querela.

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