Non sempre vi è necessaria coincidenza tra il momento in cui viene posta in essere la condotta di appropriazione e di interversione del possesso, e quello in cui si verifica l’evento di appropriazione, evento che è costituito dalla manifestazione della volontà dell’agente di fare propria la cosa.
Il reato di cui all’art. 646 c.p. si consuma nel momento dell’azione, cioè dell’interversione del titolo del possesso, e si perfeziona con il verificarsi dell’evento costituito dal momento in cui la parte offesa viene posta a conoscenza dell’avvenuta appropriazione in suo danno. L’evento appropriazione, in questi casi, si realizza allorché la parte offesa subisce il danno della mancata restituzione.
(Cass. Penale Sez. II, sentenza 17 maggio 2012, n. 18864)



Corte Suprema di Cassazione
Sezione Seconda Penale
Sentenza del 17.05.2012, n. 18864

 

In data 4.1.2005, [OMISSIS], comproprietaria di un appartamento sito nel condominio di via [OMISSIS], presentò denuncia querela nei confronti di [OMISSIS], che aveva ricoperto la carica di amministratore del predetto Condominio dall’aprile 1999 sino al marzo 2004, rilevando che l’amministratore nominato a seguito delle dimissioni del [OMISSIS] non era riuscito a ricostruire compiutamente i movimenti contabili della precedente gestione, essendo emersi a prima vista irregolarità ed ammanchi; a seguito di una verifica contabile era stato così accertato che nei rendiconti di esercizio erano stati esposti costi superiori a quelli sostenuti, e che all’amministratore erano state consegnate somme poi versate su libretti, di cui uno mai restituito.
Gli esiti di tali accertamenti erano stati oggetto di contestazione nei confronti del [OMISSIS], tramite lettera raccomandata datata 5.10.2004, ma lo stesso non aveva fornito alcun tipo di spiegazione a riguardo.
[OMISSIS] veniva quindi rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 81 cpv e 61 n.7 e n. 11, 646 c.p., perché, nella sua qualità di amministratore del condominio [OMISSIS], in esecuzione del medesimo disegno criminoso e in diverse occasioni al fine di procurarsi un profitto si appropriava della somma di Euro 96.884,41 nel periodo compreso tra il 1.4.1999 ed il 31.3.2003 e dal 1.4.2003 al 31.3.2004; somma derivante dall’esposizione nella contabilità condominiale di costi superiori a quelli sostenuti dai proprietari del Condominio [OMISSIS]; trattenendo la somma distratta nonostante le richieste della persona offesa. Con l’aggravante di cui all’art. 61 n.7 c.p. di aver causato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità. Con l’aggravante di cui all’art.61 n. 11 c.p. di aver commesso il fatto con abuso del rapporto di prestazione d’opera. (…), dal 1999 al 2004.
Con sentenza del 21.12.2009, il Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Gallarate, all’esito del giudizio celebrato con rito abbreviato, dichiarò [OMISSIS] responsabile del reato di appropriazione indebita aggravata della somma di Euro 96.884,41, e lo condannò alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite [OMISSIS] e [OMISSIS], quest’ultimo nella sua qualità di amministratore del Condominio [OMISSIS], danni da liquidarsi in separato giudizio.
Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Milano con sentenza del 26.5.2011, dopo aver acquisito agli atti tutti i documenti allegati all’atto d’appello, rideterminava l’ammontare della distrazione in complessivi Euro 13.374,28 (9.402,48 +  3.971,80 somma depositata sul libretto n. 106.490/80 non restituito), e – in parziale riforma della decisione di primo grado – esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n.7 c.p., riduceva la pena a mesi sei giorni venti di reclusione ed Euro 340,00 di multa, e confermava le statuizioni civili.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 lett. c) c.p.p., per violazione di norma processuale stabilita a pena di nullità ex art.178 co. 1 lett c) e 180 c.p.p. in relazione all’art.487 c.p.p., in quanto a seguito della costituzione delle parti, all’udienza del 26.5.2011, la Corte territoriale non ha provveduto alla declaratoria di contumacia nei confronti dell’imputato non presente; 2) la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) c.p.p., per errata interpretazione della legge penale, e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla specifica doglianza di cui all’atto d’appello relativa all’accertamento dei singoli fatti di appropriazione indebita, da considerare già prescritti alla data di pubblicazione della sentenza impugnata. La Corte ha infatti omesso di motivare sullo specifico motivo di impugnazione e, ancor più erroneamente, ha indicato nel giorno 15.1.2004 il tempo della consumazione dell’indebita appropriazione, nonostante la contestazione ex art. 81 cpv c.p., che sottende la plurima violazione della legge penale, e non una singola violazione costituita dalla sommatoria di più condotte illecite.
E quanto al “dies a quo”, coincidente con la decorrenza del termine necessario a prescrivere le singole fattispecie, è indiscutibile che tutte le appropriazioni consumate nel periodo 1999-2003 fossero già estinte per intervenuta prescrizione alla data della sentenza impugnata.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

È principio costantemente affermato da questa Corte con giurisprudenza assolutamente prevalente, condivisa da questo Collegio, che l’omissione della declaratoria formale di contumacia, in presenza dei presupposti del giudizio contumaciale (assenza di un legittimo impedimento dell’imputato), non è causa di nullità della sentenza, in quanto non prevista specificamente dall’ordinamento e non riconducibile al novero delle nullità di ordine generale, considerato che essa non importa alcun effetto pregiudizievole ai fini dell’intervento e dell’assistenza dell’imputato, cui competono comunque i diritti processuali connessi alla situazione di contumacia (v. Cass. Sez. V, sent. n. 36651/2008 Rv. 241634; Sez. VI, sent. n. 19273/2006 Rv. 233973; Sez.V n. 46857/2005 Rv. 233045).
A ciò aggiungasi che, anche volendo seguire l’indirizzo giurisprudenziale meno recente e minoritario, secondo il quale l’omissione di formale pronuncia dell’ordinanza dichiarativa della contumacia costituisce nullità a regime intermedio sanabile ex art. 182 c.p.p., comma 2 (v. Cass. Sez.I, sent. n. 2859/2004 Rv. 230650), il motivo risulterebbe comunque inammissibile, in quanto nessun concreto pregiudizio, derivante dall’omessa pronuncia della contumacia, è stato prospettato dal ricorrente, e secondo quanto prevede l’art. 182 c.p.p., le nullità a regime intermedio possono essere dedotte solo dalla parte che vi abbia interesse, e si sanano se non rilevate d’ufficio entro i termini indicati dall’art. 180 c.p.p.
2. Il secondo motivo non solo è manifestamente infondato, ma è anche privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art. 591 lett. c) c.p.p. per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.
2.1 La Corte d’Appello, ritenuta l’assoluta necessità di acquisire agli atti tutta la documentazione allegata all’atto di appello del [OMISSIS], (copia integrale dei rendiconti, dei piani di riparto, delle fatture emesse dalla [OMISSIS] nei confronti del condominio, dei verbali delle assemblee ed in particolare di quella in data 27.11.2003 avente ad oggetto, tra l’altro, le dimissioni del [OMISSIS], dei libretti bancari, della fattura n. [OMISSIS] emessa dal geometra [OMISSIS], e del modello F24 attestante il pagamento della ritenuta d’acconto), in quanto documenti pertinenti alle specifiche allegazioni della parte civile ed al periodo incriminato, e – precisato che nell’imputazione era stato indicato in complessivi Euro 96.884,41 l’oggetto delle condotte appropriative, ma che, espunti dall’elenco in denuncia le voci 6) ed 8), per le quali era ancora ignoto l’esito degli accertamenti effettuati dalla parte offesa, i pretesi ammanchi di cui alla contestazione dovevano in realtà essere quantificati nella minor somma di Euro 59.427,71 – nella sentenza impugnata (v. pagg. 5-20) ha ricostruito, con estrema precisione, tutta la contabilità del condominio negli anni in contestazione, sulla base non solo delle contestazioni, ma anche di tutti i documenti prodotti dalla difesa del [OMISSIS] e dalle dichiarazioni rese dal medesimo.
Tenuto conto delle dichiarazioni dell’imputato, che – in ordine alle varie voci in contestazione – ha ammesso di aver talvolta rendicontato, e quindi richiesto e ottenuto dai condomini, il pagamento di somme mai spese (ma ha negato di essersene appropriato, essendo comunque gli importi versati in eccedenza rimasti sul conto bancario del condominio, e quindi in cassa), e di aver quindi redatto i rendiconti, facendo largo uso al criterio di competenza, anziché al criterio di cassa, con conseguente esistenza di spese rendicontate, ma non ancora pagate, la Corte ha ritenuto che l’unico metodo possibile per verificare, se e quando si fosse verificata da parte dell’imputato la denunciata appropriazione delle somme in questione, fosse proprio quello di calcolare l’importo complessivo delle somme pagate dai condomini e l’importo complessivo delle spese effettuate per conto del condominio alla luce degli esiti della riconciliazione bancaria intervenuta il 15.1.2004, al momento della consegna della cassa dal [OMISSIS] al nuovo amministratore [OMISSIS].
Considerato che, a seguito dell’operata ricostruzione della contabilità, era emerso che, alla data del 15.1.2004, sul conto del condominio si sarebbe dovuta trovare depositata la somma di Euro 32.273,17, mentre al momento delle consegne l’imputato aveva versato all’amministratore subentrante quale residuo di cassa la minor somma di Euro 22.870,69, la Corte ha quindi ritenuto che, proprio in quel momento, l’imputato – trattenendo le somme di Euro 9.402,48, pari alla differenza di cassa rilevata, e di Euro 3.971,80, di cui al libretto di deposito n.106490/80 ricevuto e non restituito – ebbe a manifestare la volontà di farle proprie; il reato (unico e non continuato) si era pertanto consumato al momento della consegna della cassa, ovvero in data 15.1.2004. Ridimensionata la distrazione totale delle somme in Euro 13.374,28, la Corte ha poi escluso l’aggravante di cui all’art.61 n.7 c.p., e ridotto la pena.
Le precise argomentazioni della sentenza d’appello che, nonostante la genericità del motivo di ricorso, si è ritenuto di dover sia pur sinteticamente riportare nel loro integrale sviluppo ai fini dell’esatta individuazione del momento consumativo del reato, non sono suscettibili di censura alcuna in questa sede, in quanto ampiamente e logicamente motivate.
2.2 Sulla base di norme espressamente dichiarate inderogabili dall’art. 1138 comma 4 cod.civ., l’amministratore del condominio dura in carica un anno (art. 1129 comma 2 cod. civ.) e sottopone alla approvazione dell’assemblea il preventivo ed il consuntivo delle spese afferenti all’anno (art. 1135 nn. 2 e 3 cod. civ.), ragion per cui la gestione viene rapportata alla competenza (annuale). Poiché l’amministratore è tenuto anno per anno a predisporre il bilancio preventivo ed a far approvare dall’assemblea il bilancio consuntivo, astrattamente, anno per anno, alla scadenza dell’anno sociale corrispondente alla durata in carica, egli deve rispondere della gestione; in ogni caso alla scadenza, sia che essa avvenga alla fine dell’anno, sia che venga anticipata da un provvedimento di revoca, l’amministratore deve dare conto della gestione e restituire tutte le somme che detiene per conto del condominio.
Secondo la giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte, l’amministratore del condominio configura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato (Cass.Civ., Sez. II, 12 febbraio 1997, n. 1286; Cass.Civ., Sez. II, 14 dicembre 1993, n. 12304), e considerato che, ai sensi dell’art. 1713 cod. civ., il mandatario deve rendere al mandante il conto e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato, l’obbligo di restituzione sorge a seguito della conclusione dell’attività gestoria, salvo che l’estinzione avvenga prima di tale conclusione, e deve essere adempiuta non appena tale attività si è realizzata.
Di norma, la restituzione avviene in seguito al rendiconto annuale ma, ove ciò non avvenga (anche per meri errori di contabilità o perché devono essere ancora recuperate somme dovute da condomini morosi e riguardanti la precedente gestione o per altre cause), una volta che la gestione si conclude, e in difetto di contrarie disposizioni pattizie, l’amministratore del condominio è tenuto alla restituzione, in riferimento a tutto quanto ha ricevuto nell’esercizio del mandato per conto del condominio, vale a dire tutto ciò che ha in cassa, e ciò indipendentemente dalla gestione alla quale le somme si riferiscono (v. Cass.Civ.Sez. II, sent. n. 10815/2000 Rv. 539589).
2.3 Un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, con riferimento alla fattispecie di spendita di titoli avuti in garanzia (v. Cass.Sez.II sent.n. 1119/99, rv. 212976; Sez.II sent.n. 12096/86, rv. 174174), e a quella di detenzione a titolo di custodia di un libretto al portatore bancario intestato a persona deceduta (e di cui il detentore aveva rifiutato la restituzione agli eredi), ha ritenuto che non sempre vi è necessaria coincidenza tra il momento in cui viene posta in essere la condotta di appropriazione e di interversione del possesso, e quello in cui si verifica l’evento di appropriazione, evento che è costituito dalla manifestazione della volontà dell’agente di fare propria la cosa, e ha quindi statuito che il reato di cui all’art. 646 c.p. si consuma nel momento dell’azione, cioè dell’interversione del titolo del possesso, e si perfeziona con il verificarsi dell’evento costituito dal momento in cui la parte offesa viene posta a conoscenza dell’avvenuta appropriazione in suo danno.
L’evento appropriazione, in questi casi, si realizza allorché la parte offesa subisce il danno della mancata restituzione (v.Cass.Sez.II, sent. n. 48438/2004 rv. 230354).
2.4 Nella concreta fattispecie, comunque, così come accertato dal giudice del fatto, in conformità con i principi di diritto dettati da questa Corte, il momento della interversione del possesso è coincidente con quello dell’evento del reato, e si è realizzato all’atto della consegna della cassa al nuovo amministratore, allorché l’imputato, non restituendo l’intero importo delle somme ricevute nel corso della sua gestione, ha manifestato chiaramente la volontà di voler trattenere per sé parte delle somme in questione.
Non è al riguardo illogico ritenere, così come deciso dalla Corte territoriale, che la mancata restituzione di volta in volta in seguito ai rendiconti annuali non è dato certo di interversione del possesso, e non è di per sé incompatibile con la conservazione del denaro, del quale non si potuto comunque accertare la dispersione fino alla consegna della cassa, così come rilevato anche dalla ricostruzione della contabilità, sulla scorta dei documenti prodotti e delle stesse dichiarazioni del [OMISSIS], il quale ha ammesso di aver redatto i rendiconti annuali, facendo largo uso al criterio della competenza, anziché al criterio di cassa, con la conseguente esistenza di spese rendicontate, ma non ancora pagate.
Esattamente la Corte ha pertanto ritenuto il reato consumato il 15.1.2004, al momento in cui il [OMISSIS], dovendo assolvere a seguito della conclusione dell’attività gestoria all’obbligo di restituzione ai sensi dell’art. 1713 cod. civ., consegnava al nuovo amministratore la cassa del Condominio con un ammanco di Euro 13.374,28.
2.5 Considerato che il reato è stato consumato il [OMISSIS], e il termine massimo di prescrizione a seguito di atti interruttivi ai sensi dell’art.160 c.p. è di anni sette e mesi sei, appare evidente che, anche a prescindere da eventuali periodi di sospensione, alla data della pronuncia della sentenza d’appello (26.5.2011) il reato non era ancora estinto per prescrizione.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. L’inammissibilità originaria del ricorso comporta il passaggio in giudicato della sentenza di merito, con la conseguente impossibilità di dichiarare l’eventuale, sopravvenuta prescrizione del reato ex articolo 129 cod. proc. pen..
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende, nonché alla rifusione in favore delle parti civili Condominio [OMISSIS] e [OMISSIS] delle spese sostenute dalle predette parti civili per questo grado di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 2.400,00 oltre IVA, CPA e spese generali.

Depositata in Cancelleria il 17.05.2012

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