Non commette appropriazione indebita il cliente che non paga all’avvocato le somme liquidate in sentenza a titolo di competenze legali.

(Corte di Cassazione, Sezione 2 penale,  Sentenza 24 giugno 2011, n. 25344)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIRENA Pietro – Presidente

Dott. IANNELLI Enzo – Consigliere

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere

Dott. RAGO Geppino – rel. Consigliere

Dott. VERGA Giovanna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE presso la Corte di Appello di Bari;

avverso la sentenza del 8/07/2010 della Corte di Appello di Bari pronunciata nei confronti di:

GI. AN. nato il (OMESSO);

Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Geppino Rago;

udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Oscar Cedrangolo che ha concluso per l’inammissibilita’;

udito il difensore avv.to SIANI VINCENZO che ha concluso per l’inammissibilita’.

FATTO

p.1. Con sentenza del 8/7/2010, la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza pronunciata in data 21/01/2008 con la quale il Tribunale della medesima citta’ aveva assolto GI. An. dal reato di cui all’articolo 646 c.p., “per essersi appropriato indebitamente della somma di euro 16.710,00 percepita al solo scopo di corrisponderla al suo legale avv. Le.Ni. ed in realta’ mai consegnata”.
p.2. Avverso la suddetta sentenza, il PROCURATORE GENERALE presso la Corte di Appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell’articolo 646 c.p..
Sostiene, infatti, il ricorrente che le somme liquidate dal giudice in favore del difensore sono detenute dalla parte vincitrice nomine alieno, con la conseguenza che, mutare ad opera della parte vincitrice in giudizio la destinazione delle somme liquidate dal giudice in sentenza trattenendole per se’, costituisce un comportamento appropriativo che integra gli estremi della condotta descritta nell’articolo 646 c.p..

DIRITTO

p.3. Il ricorso e’ infondato per le ragioni di seguito indicate.
Il fatto che ha dato origine al presente procedimento penale e’ pacifico:
all’esito di un giudizio civile, al Gi. , assistito dall’avvio Le.Ni. , veniva liquidata la somma di euro 16.710,00 a titolo di competenze legali. Il Gi. , pero’, non pagava l’avv.to Le. . Da qui il processo.
In punto di diritto, e’ appena il caso di rammentare che i requisiti giuridici perche’ possa ritenersi configurabile il reato di cui all’articolo 646 c.p., sono i seguenti: a) l’appartenenza dei beni oggetto di appropriazione, ad un terzo in virtu’ di un titolo giuridico; b) il possesso legittimo dei suddetti beni da parte del terzo; c) la volonta’ di interversione del possesso, la qual cosa si verifica quando il possessore effettua e rende esplicito al proprietario del bene, l’interversione del possesso ossia la sua volonta’ di non restituire piu’ il bene del quale ha il possesso; d) l’ingiusto profitto.
Infatti, la ratio dell’articolo 646 c.p., “deve essere individuata nella volonta’ del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l’autonoma disponibilita’ della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa”: Cass. 11628/1989 riv 182001.
Tanto premesso in diritto, occorre quindi verificare: a) se la somma liquidata dal giudice a favore del Gi. fosse o meno di proprieta’ dell’avv.to Le. ; b) se il Gi. la possedeva in virtu’ di un qualche legittimo titolo di possesso e, quindi, se effettuo’ l’interversione.
La risposta ai suddetti quesiti discende dalla disamina del rapporto che lega il cliente all’avvocato.
In proposito e’ indiscusso che il suddetto rapporto ha alla base un rapporto di mandato professionale a seguito del quale il professionista ha il diritto di pretendere il pagamento della prestazione.
Il pagamento della suddetta prestazione costituisce, quindi, a carico del cliente, un obbligo che discende dall’interno rapporto di mandato essendo regolamentato dalle pattuizioni che le parti hanno stabilito in ordine al quantum ed alle modalita’.
Nell’ipotesi, poi, di una causa civile, le modalita’ con le quali il professionista puo’ farsi pagare sono due: 1) direttamente dal cliente ed indipendentemente dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza; 2) direttamente dalla parte soccombente: e’ l’ipotesi espressamente prevista dall’articolo 93 c.p.c., che disciplina la fattispecie, appunto, della distrazione delle spese.
Nel caso in esame, e’ pacifico che la somma in questione venne liquidata a favore non dell’avv. Le. ma direttamente a favore del Gi. in quanto parte vincitrice a titolo di spese.
E’ chiaro, pertanto, che quella somma era di sua esclusiva proprieta’ ed alla stessa il Gi. era libero di dare la destinazione che piu’ gli aggradava pur essendo tenuto al pagamento della parcella dell’avv.to Le. .
Costui, quindi, non poteva su di essa accampare alcun diritto potendo solo richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l’opera professionale svolta, direttamente nei confronti del suo cliente, somma che avrebbe potuto essere, in ipotesi, sia minore che superiore a quella liquidata dal giudice.
Erra, quindi, il P.G. ricorrente quando sostiene che la somma liquidata aveva un vincolo di destinazione a favore dell’avvocato.
In realta’, la somma era di proprieta’ esclusiva del Gi. essendo stata liquidata a suo favore, sicche’ nessuna appropriazione indebita e’ ipotizzabile proprio perche’ manca il principale presupposto giuridico ossia che la somma fosse di proprieta’ dell’avvocato e che il Gi. , possedendola per un legittimo titolo, effettuo’ l’interversione del possesso rifiutandosi di consegnarla all’avvocato.
Nel respingere pertanto il ricorso puo’ enunciarsi il seguente principio di diritto: “non commette il reato di appropriazione indebita la parte vincitrice di una causa civile – a cui favore il giudice abbia liquidato una somma a titolo di spese legali – che si rifiuti di consegnarla al proprio avvocato che reclami come propria la suddetta somma”.

P.Q.M.

RIGETTA il ricorso.

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