Tranne che nei casi tassativamente indicati dalla disciplina transitoria contenuta nell’art. 2 d.l. 26 giugno 2014 n. 92, i rimedi risarcitori previsti dall’art. 35-ter O.P. (introdotto dall’art. 1 d.l. 92/2014) possono essere azionati solo rispetto a pregiudizi prodottisi successivamente al 28 giugno 2014 (data dell’entrata in vigore del d.l. 92/2014), attesa la non retroattività della norma.
I rimedi risarcitori previsti dall’art. 35-ter, commi 1-2, O.P. possono essere azionati innanzi al magistrato di sorveglianza solo in presenza di due presupposti costituiti dallo stato detentivo in carcere dell’istante e dall’attualità del pregiudizio dedotto. Negli altri casi, invece, essi vanno azionati innanzi al giudice civile.
(Decreto 31 ottobre  2014, Magistrato di Sorveglianza di Alessandria, Giudice VIGNERA)

Il Magistrato di Sorveglianza

letta l’istanza presentata
DA

OMISSIS, nato a XXXX il XX XX XXXX, attualmente detenuto presso la Casa di Reclusione di Alessandria, avente ad oggetto la concessione della riduzione di pena detentiva a titolo di risarcimento del danno ex art. 35-ter l. 26 luglio 1975 n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario: O.P.),
OSSERVA

quanto segue.

1. – Con atto in data 12 settembre 2014 O. L. (attualmente detenuto presso la Casa di Reclusione di Alessandria)  ha presentato istanza ai sensi dell’art. 35-ter, comma 1, O.P. (introdotto dall’art. 1 d.l. 26 giugno 2014 n. 92, convertito, con modificazioni, nella l. 11 agosto 2014 n. 117), lamentando pregresse condizioni detentive (presso la Casa Circondariale di Milano-San Vittore dal 10 marzo 2012 al 22 maggio 2013) asseritamente contrarie alla dignità della persona (vietate dall’art. 3 CEDU) e chiedendo conseguentemente la riduzione di pena prevista a titolo risarcitorio dallo stesso art. 35-ter cit.
2. 1. – Sui rimedi compensativi previsti dal d.l. 92/2014 è opportuno richiamare quanto scritto nel parere tecnico dato dal C.S.M. sul d.d.l. di conversione (Odg. 1095– Aggiunto del 30 luglio 2014), che si riporta: <Con il decreto legge n. 92 del 26 giugno 2014 è stato quindi introdotto un rimedio “compensativo” volto, nelle intenzioni del nostro legislatore, a soddisfare le richieste formulate dalla Corte europea nella sentenza Torreggiani, ove veniva sollecitata la previsione di «un ricorso in grado di consentire alle persone incarcerate in condizioni lesive della loro dignità di ottenere una qualsiasi forma di riparazione per la violazione subita» (§ 97 della predetta sentenza).
In sintesi, il legislatore ha previsto una articolata forma di riparazione caratterizzata dalla presenza di due meccanismi tendenzialmente destinati ad integrarsi al fine di garantire una tutela effettiva rispetto alle situazioni lesive della dignità delle persone detenute. Da un lato è stata introdotta, per colui che sia ancora detenuto al momento del ricorso introduttivo e che per un periodo di tempo non inferiore a quindici giorni sia stato ristretto in condizioni di detenzione tali da violare l’articolo 3 della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte EDU, la facoltà di chiedere al magistrato di sorveglianza un risarcimento, sostanzialmente in forma specifica, del pregiudizio patito consistente nella riduzione della pena detentiva ancora da espiare nella misura di un giorno per ogni dieci di pena già eseguita. E qualora tale tipo di risarcimento in forma specifica non sia possibile perché il periodo di pena ancora da espiare sia tale da non consentire la detrazione dell’intera misura percentuale prima indicata, il magistrato di sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari ad 8,00 euro per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio. Il risarcimento in esame è inoltre richiedibile anche quando il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 Convenzione EDU sia stato inferiore ai quindici giorni.
Dall’altro lato, coloro che hanno subito il suddetto pregiudizio a cagione di una misura cautelare custodiale non computabile nella determinazione della pena da espiare (ad esempio perché essi sono stati poi assolti), nonché coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere possono proporre azione, personalmente o tramite il difensore munito di procura speciale, di fronte al tribunale civile del capoluogo del distretto in cui hanno la residenza. Il tribunale distrettuale, con procedimento camerale, decide in composizione monocratica con decreto non reclamabile. Anche, in tal caso, il quantum del risarcimento è pari ad € 8,00 per ogni giorno in cui si è subito il pregiudizio. Il comma terzo, secondo alinea, del nuovo art. 35-ter ord. pen. prevede che tale azione debba essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere.
Rilevante è anche l’articolo 2 del decreto legge in esame, il quale, nel dettare le disposizioni transitorie, introduce al comma 1 un termine di decadenza di sei mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto legge, entro cui coloro che a tale data abbiano cessato di espiare la pena detentiva, o che non si trovino più in stato di custodia cautelare, possono proporre l’azione per il risarcimento del danno davanti al tribunale del distretto di residenza.
Il secondo comma dispone, poi, che coloro che abbiano già presentato il ricorso alla Corte EDU per violazione dell’art. 3 della Convenzione EDU nel medesimo arco temporale sopra considerato, appunto, decorrente dalla data di entrata in vigore del decreto legge, possono presentare la richiesta di risarcimento al tribunale distrettuale ai sensi del nuovo art. 35-ter O.P. In tal caso, è obbligatorio, a pena di inammissibilità, che la domanda contenga l’indicazione della data di presentazione del ricorso alla Corte EDU.
6. I rimedi esperibili davanti al magistrato di sorveglianza.
L’articolo 1 del decreto legge, rubricato “Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354”, prevede al comma 1 l’introduzione, dopo l’art. 35-bis dettato in materia di reclamo giurisdizionale, dell’art. 35-ter, rubricato “Rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nei confronti di soggetti detenuti o internati”.
Secondo quanto stabilito dal comma 1 dell’art. 1, il rimedio in questione si iscrive nell’ambito dei presupposti che consentono l’attivazione della tutela preventiva disciplinata dagli articoli 35-bis e 69 ord. pen., atteso che la clausola di apertura dell’enunciato normativo, espressa dal periodo “Quando il pregiudizio di cui all’articolo 69, comma 6, lett. b)”, non può che rinviare alla medesima cornice giuridica del reclamo giurisdizionale.
Deve, dunque, ritenersi che il primo requisito per poter azionare i rimedi previsti, dai commi 1 e 2 dell’art. 1, davanti al magistrato di sorveglianza (ovvero la riduzione della pena ed il risarcimento del danno nella forma del pagamento di una somma pecuniaria) è che in capo al detenuto o all’internato sia configurabile una situazione di “attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti” conseguente all’inosservanza, da parte dell’Amministrazione, di disposizioni previste dalla legge penitenziaria e dal relativo regolamento. Un pregiudizio che, peraltro, deve afferire ad una condizione detentiva tale “da violare l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”; e pertanto da configurare una violazione del divieto di tortura ovvero di trattamenti “inumani o degradanti”.
Da tale perimetrazione degli istituti in esame derivano, dunque, una serie di corollari:
a)  le domande azionabili sono unicamente quelle riferibili a situazioni in cui la lesione dei diritti della persona incarcerata, conseguente al sovraffollamento, fosse attuale al momento della richiesta di accertamento e non si fosse ormai consumata (per essersi, ad esempio, esaurita la situazione di sovraffollamento): sicché la questione della mancata individuazione di un dies a quo, a partire dal quale le lesioni siano ritenute azionabili, è destinata a perdere gran parte della sua rilevanza, quantomeno con riferimento ai rimedi esperibili durante l’esecuzione penale (e dunque davanti al magistrato di sorveglianza);
b)  stando alla formulazione testuale dei commi 1 e 2, per le violazioni dell’art. 3 della Convenzione EDU che si siano protratte per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni è azionabile unicamente il rimedio della riduzione della pena detentiva, mentre per quelle aventi durata inferiore, eventualmente anche costituenti parte residua di quella non inferiore a quindici giorni, il detenuto potrà esperire il solo rimedio del risarcimento del danno in forma pecuniaria;
c) tutte le ulteriori ipotesi di danno cagionato da atti e/o comportamenti dell’amministrazione penitenziaria, ivi comprese le lesioni non “attuali”, appartengono alla competenza generale del giudice civile in materia di risarcimento del danno : e ciò anche nel caso in cui il soggetto non sia al momento detenuto ma chieda il risarcimento in relazione a situazioni di pregiudizio connesse a condizioni inumane o degradanti ormai pregresse.
Giova, peraltro, rilevare che lo strumento in esame può essere azionato anche nell’ambito del procedimento “preventivo”, contestualmente alla proposizione del ricorso di cui all’art. 35-bis, ord. pen.>>.
2. 2. – Tale interpretazione (sostanzialmente recepita da Mag. Sorv. Vercelli, ordinanza 24 settembre 2014, ric. T., N. 2014/5638 SIUS, in www.personaedanno.it) è condivisibile perché:
a)    si rivela coerente con l’intentio legis [v. il parere sul d.l. 92/2014 espresso dalla Prima Commissione Permanente della Camera dei Deputati (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni), in Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, N. 2496-A, dove sta scritto: “considerato altresì che l’articolo 1, comma 1, del decreto-legge in esame inserisce nell’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) l’articolo 35-ter attraverso il quale si attivano rimedi risarcitori a favore di detenuti e internati per violazione dell’articolo 3 della Convenzione EDU; tenuto conto che, con tale disposizione, si aggiungono alle competenze del magistrato di sorveglianza l’adozione di provvedimenti compensativi stabilendo che – quando l’attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti del detenuto consista in condizioni di detenzione che violino l’articolo 3 della Convenzione EDU, come interpretato dalla giurisprudenza CEDU – il magistrato di sorveglianza, su istanza del detenuto o del difensore munito di procura speciale, debba « compensare » il detenuto con l’abbuono di un giorno di pena residua per ogni 10 giorni durante i quali vi è stata la violazione”];
b)    è coerente pure con il ruolo istituzionale del magistrato di sorveglianza, il quale non ha una competenza generale a provvedere su qualsivoglia lesione di qualsivoglia diritto soggettivo dei detenuti, ma è soltanto preposto a vigilare sull’organizzazione degli istituti penitenziari e sulla legalità dell’esecuzione della pena (v. art. 69, commi 1, 2, 5 e 6, O.P.);
c)    trova conferma indiretta nell’art. 35-ter, comma 3, O.P., che attribuisce al giudice civile la cognizione sulle domande risarcitorie in forma monetaria proposte da “coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere” (vale a dire, dai soggetti ammessi a misure alternative “extramurarie”: affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare ed esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiore ai diciotto mesi), nei cui confronti non è configurabile un pregiudizio “attuale”, ma che  [al pari dei detenuti in carcere sottoposti (solo) in passato a carcerazione “inumana”] avrebbero senz’altro interesse alla riduzione della pena (la quale si rifletterebbe sulla durata della misura alternativa, eguale a quella della pena espianda): riduzione che, invece,  rispetto a codesti soggetti non è consentita, essendo previsto solo (come detto) il risarcimento pecuniario.
Un ulteriore argomento a favore di questa interpretazione può rinvenirsi nella disciplina transitoria contenuta nell’art. 2 d.l. 92/2014 (su cui ci si soffermerà funditus in seguito: v. par. 3).
Invero:
–    il comma 1 del predetto art. 2 stabilisce che “coloro  che,  alla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente decreto-legge, hanno cessato di espiare la pena detentiva  o  non  si trovano più in stato  di  custodia  cautelare  in  carcere,  possono proporre l’azione di cui all’articolo 35-ter, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354, entro  il  termine  di  decadenza  di  sei  mesi decorrenti dalla stessa data”;
–    l’espresso richiamo dell’azione di cui all’articolo 35-ter, comma 3, O.P. (divisante il risarcimento meramente pecuniario “erogabile” dal tribunale in composizione monocratica nelle forme di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.) si giustifica con il fatto che pure quello contemplato dall’art. 2, comma 1, d.l. 92/2014 (al pari di quello considerato dall’art. 35-ter, comma 3, O.P.) si risolve in un pregiudizio non più attuale.
Il comma 2 dell’art. 2 d.l. 92/2014, a sua volta, stabilisce che “entro sei mesi dalla data di  entrata  in  vigore  del  presente decreto-legge, i detenuti e gli internati che abbiano già presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo,  sotto  il  profilo del  mancato  rispetto  dell’articolo  3  della  Convenzione  per  la salvaguardia dei diritti dell’uomo  e  delle  libertà  fondamentali, ratificata ai sensi della  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  possono presentare domanda ai sensi dell’articolo  35-ter,  legge  26  luglio 1975, n.  354,  qualora  non  sia  intervenuta  una  decisione  sulla ricevibilità del ricorso da parte della predetta Corte”.
Orbene!
Se il presupposto dell’azione esercitabile innanzi al magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 35-ter, commi 1-2, O.P. fosse veramente costituito esclusivamente dall’attualità dello stato detentivo dell’istante, il predetto art. 2, comma 2, d.l. 92/2014 avrebbe dovuto (per l’ipotesi ivi considerata, postulante per l’appunto quello stato)   richiamare espressamente e soltanto i commi 1-2 dell’art. 35-ter O.P. (così come il comma 1 ha richiamato espressamente e soltanto l’art. 35-ter, comma 3, O.P. per le ipotesi –  ivi contemplate –  di pregiudizio non più attuale): cosa che invece non è avvenuta.
Il richiamo generico della “domanda ai sensi dell’art. 35-ter” O.P. operato dall’art. 2, comma 2, d.l. 92/2014, invece, si spiega e si giustifica pienamente nell’ottica dell’attualità pregiudizio (e non solo dello stato di detenzione)  quale criterio “attributivo” della competenza al magistrato di sorveglianza. Di guisa che anche nelle ipotesi considerate da codesta disposizione transitoria:
–    in presenza di un pregiudizio ancora attuale al momento della proposizione della domanda, la stessa va presentata al magistrato di sorveglianza ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 35-ter, commi 1-2, O.P.;
–    in presenza di un pregiudizio non più attuale al momento della proposizione della domanda, essa va presentata al tribunale civile ai sensi dell’art. 35-ter, comma 3, O.P.
2. 3. – E’ vero che l’interpretazione qui condivisa (sull’attualità del pregiudizio quale condizione dell’azione esercitabile innanzi al magistrato di sorveglianza) potrebbe essere “osteggiata” invocando l’art. 35-ter, comma 2, ultima parte, O.P., secondo cui “il magistrato di sorveglianza provvede allo stesso modo nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sia stato inferiore ai quindici giorni”. Si potrebbe, infatti, sostenere che, essendo impossibile avere una pronuncia del magistrato di sorveglianza in meno di 15 giorni dalla presentazione dell’istanza, tale disposizione presuppone (quale causa petendi) un pregiudizio passato di durata certa inferiore ai 15 giorni
E’ altrettanto vero, nondimeno, che la previsione de qua trova piena giustificazione pur nell’ambito della tesi postulante l’attualità del pregiudizio quale elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria azionabile innanzi al magistrato di sorveglianza: assumendo, cioè, che  l’attualità del pregiudizio e con essa la competenza del magistrato di sorveglianza vanno determinate con riferimento al momento della proposizione della domanda.  In questa prospettiva (a sua volta del tutto coerente con la norma contenuta nell’art. 5 c.p.c.: “la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”) la disposizione ex art. 35-ter, comma 2, ultima parte, O.P., va relazionata a quelle situazioni in cui il pregiudizio, esistente (ed attuale) al momento della proposizione della domanda, nelle more del procedimento sia venuto meno ed al momento della decisione risulti inferiore a 15 giorni.
2. 4. – Nè, infine, appare insuperabile l’obiezione (pur prospettata in dottrina) che alla stregua dell’interpretazione qui accolta l’art. 35-ter O.P. presenterebbe una grave lacuna normativa, non contenendo (si dice) alcuna disposizione rispetto ai soggetti ancora detenuti in carcere, ma nei cui confronti sia configurabile un pregiudizio non più attuale: i quali, pertanto, a differenza di quelli “che hanno terminato di espiare la pena in carcere” perché per esempio in detenzione domiciliare o in affidamento in prova al servizio sociale (cui sembra fare espresso riferimento l’art. 35-ter, comma 3, O.P.), potrebbero così fruire soltanto della tutela “generale” ex art. 2043 c.c. [non assoggettata (a differenza di quella speciale ex art. 35-ter, comma 3, O.P.) a termini di decadenza, ma sicuramente meno “tempestiva” perché erogabile nelle forme del processo ordinario di cognizione anziché in quelle “camerali” ed in unico grado di merito ex art. 35-ter, comma 3, O.P.].
La lacuna è solo apparente.
Per quanto riguarda, invero, tale categoria di soggetti (ancora detenuti in carcere, ma non più in condizioni “illegali”), è possibile individuare una soluzione (alternativa alla possibilità di esercizio dell’azione “generale” ex art. 2043 c.c. innanzi al giudice civile ordinario) suscettibile di rendere il sistema ex art. 35-ter O.P. completo e costituzionalmente “adeguato”.
A nostro avviso, infatti, l’art. 35-ter, comma 3, O.P., là dove fa riferimento a “coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere”, deve essere interpretato estensivamente.
La norma, più esattamente, ha inteso prendere in considerazione  tutti coloro che (pur continuando ad espiare la pena detentiva) hanno “terminato di espiare la pena detentiva in carcere  in condizioni disumane”: di guisa che essa va riferita tanto a chi continua ad espiare la pena in regime alternativo (es.: i detenuti domiciliari), quanto a chi continua ad espiare la pena in carcere in condizioni non più disumane.
2. 5. – Alla stregua di quanto precede si può affermare che l’art. 35-ter, commi 1 e 2, O.P. integra la disciplina contenuta nell’art. 35-bis, comma 3, O.P. rispetto al contenuto delle decisioni consentite al magistrato di sorveglianza “nelle ipotesi di cui all’articolo 69, comma 6, lettera b), accertate l’esistenza e l’attualità del pregiudizio”, aggiungendo al provvedimento inibitorio divisato da quest’ultima disposizione (“ordina all’amministrazione di porre rimedio entro il termine indicato dal giudice”) quello risarcitorio-compensativo in esame: il primo (provvedimento inibitorio) in “proiezione futura” (per così dire) perché finalizzato a rimuovere la causa dell’accertato  pregiudizio attuale per impedirne la produzione di ulteriori effetti; ed il secondo (provvedimento risarcitorio) in “proiezione passata” perché finalizzato a rimuovere (risarcendoli) gli effetti dannosi già prodotti da quella stessa causa (dell’accertato pregiudizio attuale).
In base alle superiori osservazioni deve concludersi che:
A)    fuoriescono dal concetto di “attualità del pregiudizio” sia le eventuali violazioni al diritto convenzionale subite nel corso di detenzioni pregresse rispetto all’attuale vicenda esecutiva (sofferte, cioè, in forza di titoli esecutivi diversi da quello attualmente in esecuzione); sia le violazioni che, sebbene riferite all’esecuzione in corso al momento della domanda, non siano tuttavia attuali al momento della proposizione dell’istanza poiché medio tempore venute meno;
B)    tali violazioni (integranti un pregiudizio non attuale) fuoriescono dall’ambito della cognizione della magistratura di sorveglianza per ricadere in quella  attribuita generaliter al giudice civile in virtù della clausola di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.
3. – Va osservato adesso che:
–    l’art. 35-ter O.P. è stato introdotto dall’art. 1 d.l. 26 giugno 2014 n. 92 (convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014 n. 117), entrato in vigore il 28 giugno 2014;
–    in virtù dell’art. 11 disp. prel. c.c. (c.d. preleggi) ed in mancanza di espresse previsioni in senso contrario, esso (art. 35-ter)  “non ha effetto retroattivo” (salvo quanto si dirà tra poco sulla “limitata” disciplina transitoria contenuta nell’art. 2 d.l. 92/2014) e, conseguentemente, si applica solo per risarcire pregiudizi successivi al 28 giugno 2014 (data di entrata in vigore del predetto d.l. 92/2014);
–    pertanto (e salvi sempre i casi ex art. 2 d.l. 92/2014, di cui si parlerà), ai pregiudizi prodottosi prima del 28 giugno 2014 si applica la disciplina previgente, concretantesi nell’azione “generale ed ordinaria” ex art. 2043 c.c. da esercitare innanzi al (“naturale”) giudice civile (cfr. Cass. pen., Sez. I, sentenza 15 gennaio 2013 n. 4772, Vizzari: “È inammissibile il reclamo ex art. 35 dell’ordinamento penitenziario avanzato al magistrato di sorveglianza per ottenere il risarcimento dei danni patiti per effetto della detenzione subita in spazi angusti in relazione alla violazione di diritti fondamentali, trattandosi di pretesa azionabile unicamente in sede civile”; nello stesso senso Cass. pen., Sez. I, sentenza 21 maggio 2013 n. 29971, Ministero Giustizia c. Scarangella; Cass. pen. Sez. I, sentenza 27 settembre 2013 n. 42901, Greco), il quale (giudice civile) ai fini della liquidazione applicherà la disciplina generale ex art. 2056 c.c. (incentrata in subiecta materia sulla valutazione equitativa prevista dall’art. 1227 c.c., richiamato da quest’ultimo) [v. Cass. civ., Sez. III, sentenza 13 maggio 2009 n. 11048: “Nella liquidazione del danno alla persona causato da sinistri stradali è inibito al giudice, per determinare il danno biologico lieve o da micropermanente, fare riferimento alle tabelle medico-legali approvate con d.m. 3 luglio 2003, quando il sinistro si sia verificato in data anteriore all’entrata in vigore del suddetto decreto, avvenuta l’11 settembre 2003. Il decreto, che si pone in rapporto di specialità rispetto alla generale disciplina di cui all’art. 2056 cod. civ., non ha efficacia retroattiva” (in motivazione si precisa altresì che in tal caso i criteri di valutazione del danno devono essere quelli “del regime vigente al tempo del fatto dannoso”)];
–    l’irretroattività (come regola generale) dell’art. 35-ter O.P. trova conferma nell’art. 2 d.l. 92/2014, il quale (in deroga a tale irretroattività) consente eccezionalmente l’esercizio dell’azione ex art. 35-ter O.P. al comma 1 a soggetti non più detenuti o internati al momento dell’entrata in vigore del predetto d.l. (che ovviamente possono lamentare solo un pregiudizio verificatosi prima del 28 giugno 2014) e al comma 2 ai detenuti ed agli internati che abbiano già presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo prima dell’entrata in vigore dello stesso d.l. (i quali logicamente pure in tal caso possono far valere un pregiudizio prodottosi anteriormente al 28 giugno 2014), qualora non sia ancora intervenuta una decisione della stessa Corte sulla ricevibilità del ricorso (esattamente è stato sottolineato in dottrina che tali disposizioni transitorie sono finalizzate a sgravare la Corte europea da ricorsi già proposti o proponibili innanzi alla medesima);
–    l’avere in tali casi assoggettato l’esercizio dell’azione ex art. 35-ter O.P. a rigorosi termini di decadenza (“entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto-legge”: come sta scritto nell’ultimo parte del comma 1 e nella parte iniziale del comma 2 dell’art. 2 d.l. 92/2014), invero, ha un senso solo postulando che l’art. 35-ter O.P. abbia tendenzialmente efficacia non retroattiva;
–    se, infatti, si ammettesse la retroattività “generale” della norma in questione e fosse conseguentemente (ed esemplificativamente) consentito esercitare l’azione ex art. 35-ter O.P., comma 1, O.P. pure per pregiudizi pregressi (recte: prodottisi prima del 28 giugno 2014) non sussumibili nelle ipotesi espressamente contemplate dall’art. 2 d.l. 92/2014 (per esempio e specialmente: per pregiudizi pregressi ed ancora attuali subìti da soggetti  detenuti in carcere al momento dell’entrata in vigore del d.l. 92/2014, ma che a quella data non avessero già presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo), la stessa azione non si esporrebbe ai termini di decadenza previsti, invece, nei casi considerati dai commi 1 e 2 del predetto d.l.: il che sarebbe privo di ragionevole giustificazione;
–    nè tale irragionevole conclusione potrebbe essere evitata ipotizzando (come taluno ha invece fatto) un’interpretazione analogica dell’art. 2 d.l. 92/2014, volta a consentire l’esperibilità del rimedio ex art. 35-ter O.P. a tutte le ipotesi di pregiudizi pregressi entro un termine di decadenza di sei mesi  e fermo restando il limite di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c.;
–    invero, tutte le norme transitorie hanno natura eccezionale e, come tali, sono insuscettibili di applicazione analogica ex art. 14 preleggi [cfr. Cass. civ., Sez. I, sentenza 21 dicembre 1999 n. 14348: “L’art. 40, comma secondo, della legge 11 gennaio 1979 n. 12, sul nuovo ordinamento della professione di consulente del lavoro, nello stabilire che gli esami già fissati o in corso alla data di entrata in vigore della legge medesima dovevano essere regolarmente espletati secondo la vecchia disciplina (di cui alla legge 12 ottobre 1964 n. 1081), restando quindi validi ai fini del conseguimento dell’abilitazione all’esercizio dell’attività di consulente del lavoro, dettò una disposizione di natura transitoria, la quale deve considerarsi inapplicabile al caso di coloro che, pur avendo ottenuto l’autorizzazione da parte dell’ispettorato del lavoro all’esercizio della detta attività nel vigore della vecchia disciplina, non avessero provveduto all’iscrizione nel relativo Albo prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina. Infatti, in presenza di una norma diretta a regolare solo la sorte dei procedimenti amministrativi concernenti gli esami già pendenti e non anche quella dei procedimenti amministrativi relativi agli esami già portati a termine, resta preclusa l’interpretazione estensiva, mentre quella analogica, dovendo l’art. 40, secondo comma, considerarsi norma eccezionale (come tutte le norme transitorie), è vietata dall’art. 14 delle disp. prel. al cod. civ., senza che in contrario possa rilevare la circostanza che l’autorizzazione all’iscrizione sia stata conseguita in una data collocantesi tanto a ridosso dell’entrata in vigore della legge n. 12 del 1979, da rendere oggettivamente impossibile l’esercizio del diritto all’iscrizione prima di detta entrata in vigore e senza che tale particolare situazione possa giustificare una questione di legittimità costituzionale della disciplina così interpretata, con riferimento alle norme degli artt. 2, 3, 4, 35 e 97 della Costituzione”].
4. – Tutto quanto testè detto induce a concludere che il rimedio compensativo previsto dall’art. 35-ter O.P. è azionabile innanzi al magistrato di sorveglianza solo se:
– l’istante è soggetto detenuto in carcere o internato;
– il pregiudizio dedotto si è verificato successivamente al 28 giugno 2014 (data di entrata in vigore del d.l. 92/2014);
– lo stesso (pregiudizio) è ancora attuale al momento della presentazione della domanda.
Quanto ai pregiudizi risalenti ad epoca anteriore al 28 giugno 2014, peraltro, essi (eccezionalmente ed in virtù della disciplina transitoria contenuta nell’art. 2, comma 2, d.l. 92/2014) possono egualmente determinare l’instaurazione del procedimento innanzi al magistrato di sorveglianza, ma solo se:
–  l’istante è soggetto detenuto in carcere o internato;
–  il pregiudizio (pur prodottosi già prima del 28 giugno 2014) è ancora attuale al momento della presentazione della domanda;
– alla data del 28 giugno 2014 l’istante aveva già presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo;
– al momento della presentazione della domanda non è ancora intervenuta una decisione sulla ricevibilità del ricorso da parte della predetta Corte europea;
– la domanda contiene l’indicazione della data di presentazione del ricorso alla Corte europea;
– la domanda viene presentata entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del d.l. 92/2014 (ergo: entro il 28 dicembre 2014).
Benchè presentate da soggetti detenuti in carcere, non sono invece azionabili innanzi al magistrato di sorveglianza  le pretese risarcitorie:
– relative a pregiudizi prodottisi prima del 28 giugno 2014, ma non più attuali al momento della presentazione dell’istanza, le quali possono essere fatte valere innanzi al tribunale civile (con l’azione speciale ex art. 35-ter, comma 3, O.P., in presenza delle condizioni divisate nella disciplina transitoria contenuta nell’art. 2, commi 2 e 3, d.l. 92/2014; o con l’azione generale ex art. 2043 c.c., non ricorrendo codeste condizioni);
– relative a pregiudizi prodottisi dopo il 28 giugno 2014, ma non più attuali al momento della presentazione dell’istanza (le quali possono essere fatte valere innanzi al giudice civile con l’azione speciale ex art. 35-ter, comma 3, O.P. in virtù dell’interpretazione estensiva testè prospettata al par. 2. 4).
5. – Nel caso di specie la domanda va dichiarata inammissibile.
L’istante, invero, ha dedotto un pregiudizio asseritamente verificatosi prima del 28 giugno 2014, ma non più attuale perchè subito presso Istituti penitenziari diversi da quello in cui si trova ora detenuto.
P.Q.M.

acquisito il parere del P.M.;

visti gli artt. 35-bis, 35-ter e 69 l. 26 luglio 1975 n. 354, l’art. 2 d.l.  d.l. 26 giugno 2014 n. 92 (convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014 n. 117) e l’art. 666, comma, 2, c.p.p.;
DICHIARA

l’inammissibilità dell’istanza.