In tema di revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale, ai fini della determinazione del residuo periodo di pena da espiare, il giudice deve motivare in ordine alla decorrenza della revoca, prendendo in esame non solo la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla stessa, ma anche la condotta complessivamente tenuta dal condannato durante il periodo di prova trascorso e la concreta incidenza delle prescrizioni imposte a suo carico.
(Cass. Sezione I Penale, 19-26 febbraio 2014, n.9314)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAMPETTI  Umberto         –  Presidente   –
Dott. CAIAZZO   Luigi Pietro     –  Consigliere  –
Dott. BARBARISI Maurizio         –  Consigliere  –
Dott. LOCATELLI Giuseppe       –  Consigliere  –
Dott. BONI      Monica        –  rel. Consigliere  –
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
A.S. N.;

avverso  l’ordinanza n. 881/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di  SALERNO del 22/05/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lette le conclusioni del PG Dott. LETTIERI Nicola il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
1. Con ordinanza deliberata in data 22 maggio 2013 il Tribunale di Sorveglianza di Salerno disponeva la revoca nei confronti di A.S. della misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, in quanto il condannato era stato tratto in arresto in data 20/4/2013 per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e quindi sottoposto a misura cautelare custodiale, fatto di tale gravità da imporre la revoca “ex tunc” della misura già accordatagli.
2. Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione l’interessato a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto della L. n. 354 del 1975, art. 47: il Tribunale di Sorveglianza aveva revocato l’affidamento in prova senza procedere ad una valutazione dell’effettiva gravità della violazione e del comportamento tenuto durante l’esecuzione, protrattasi per un anno e sette mesi in assenza di qualsiasi infrazione, con ciò ponendosi in contrasto con l’interpretazione dell’istituto offerta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 343/1987. Inoltre, era mancata la considerazione della condotta complessiva tenuta dal ricorrente per trarne elementi positivi indicativi dell’evoluzione della sua personalità verso modelli di vita socialmente corretti, delle limitazioni imposte alla libertà di movimento e della prossimità ad esaurimento della misura.
3. Con la requisitoria scritta depositata il 22 ottobre 2013 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Nicola Lettieri, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il ricorso è parzialmente fondato e va dunque accolto nei limiti in seguito specificati.
1. E’ noto che con la pronuncia n. 343 del 1987 la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, comma 10 nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non stabilisce gli effetti conseguenti, ha affermato che il Tribunale di sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa, deve procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata delle limitazioni patite dal condannato e del comportamento tenuto durante l’intero corso dell’esperimento. La Consulta, effettuata la ricognizione dei contrapposti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sulle conseguenze della revoca della misura, ha rilevato l’incongruenza delle posizioni sino ad allora affermatesi; in particolare, ha espresso dissenso per la tesi maggioritaria che, assegnando all’affidamento in prova una funzione essenzialmente rieducativa, riteneva che la revoca per il fallimento dell’esperimento avesse effetto retroattivo e determinasse il ripristino dell’originario rapporto punitivo, in quanto non teneva conto del contenuto sanzionatorio delle prescrizioni inerenti la misura, limitative della libertà personali e quindi necessariamente oggetto di valutazione in sede di revoca per stabilire quanto debba ancora essere espiato, per cui il non tenerne conto si poneva in contrasto col disposto dell’art. 13 Cost.. Del pari, anche quella minoritaria, basata sulla equiparazione dell’affidamento in prova all’espiazione della pena quale sua modalità esecutiva, nel ritenere che il periodo scontato dovesse in ogni caso essere scomputato per intero dalla pena residua, avrebbe finito per introdurre ingiustificate parificazioni di trattamento tra la diversa situazione di coloro che avessero violato le leggi o le regole imposte sin dall’inizio e quanti vi fossero incorsi nel periodo conclusivo dell’esperimento. In tal modo si sarebbe eliminata la natura sanzionatoria e l’efficacia preventiva della revoca, con la conseguente disincentivazione a mantenere una condotta regolare in contrasto con la funzione rieducativa della misura.
La Corte Costituzione ha però omesso di prendere posizione in favore di una, piuttosto che dell’altra delle opinioni in conflitto, ma ha posto l’accento sulla variabilità delle situazioni individuali di trasgressione delle norme di legge o delle prescrizioni inerenti la misura, per cui, nell’assenza di una definizione normativa di “comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova”, secondo la dizione letterale dell’art. 47 ord. pen., causa di revoca, ha ritenuto necessario che il relativo provvedimento fosse preceduto da un diversificato apprezzamento del comportamento e della violazione in relazione all’incisività delle regole imposte ed infrante. La consapevolezza dell’esistenza di una “zona grigia”, ossia intermedia tra la condotta trasgressiva sin dall’inizio della sottoposizione alla misura e quella diligentemente rispettosa sino a quasi la conclusione del periodo di espiazione, cui soltanto all’ultimo segua una violazione determinante la revoca, nonchè il richiamo ai principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena, ha giustificato la soluzione prescelta di affidare al giudizio del Tribunale di Sorveglianza il compito di stabilire, caso per caso, la durata della residua pena detentiva da scontare in ragione “sia del periodo di prova trascorso dal condannato nell’osservanza delle prescrizioni imposte e del concreto carico di queste, sia della gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca” (C.C. sent. n. 343 del 29/10/1987).
1.1 Ebbene, nel caso specifico il Tribunale si è limitato a giustificare la decisione di revoca della misura per la gravità della violazione e le modalità della sua commissione. Ha però omesso, perchè la motivazione dell’ordinanza impugnata non ne offre riscontro, l’analisi complessiva dei comportamenti tenuti dall’ A. nel corso dell’esperimento e la verifica circa la natura e l’incidenza limitativa delle prescrizioni impostegli, nonostante le stesse dal momento in cui egli aveva perduto l’opportunità lavorativa avessero comportato un obbligo di permanenza presso l’abitazione in orario diurno protratto e circa la durata del periodo di espiazione mediante misura alternativa in assenza di violazioni. Nè tali valutazioni, per la carenza di informazioni esplicative, possono ritenersi implicitamente contenute nell’accenno alla “particolare gravità” del fatto illecito, seguita dalla descrizione del comportamento materiale trasgressivo accertato, per il quale egli è stato tratto in arresto e sottoposto a misura cautelare custodiale. Non è dato nemmeno comprendere, rispetto alla pena in esecuzione, in quale momento sia intervenuta la violazione, causa di revoca, e quale valenza negativa rivesta il suo compimento rispetto al processo di rieducazione in corso. Deve dunque concludersi che la decisione di revoca con effetto retroattivo è rimasta priva di giustificazione.
L’ordinanza impugnata, pertanto, che ha omesso completamente di motivare in ordine alla decorrenza della revoca deve essere annullata con rinvio limitatamente a tale omessa statuizione.
1.2 Nè può accedersi all’interpretazione, proposta dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, che attribuisce al provvedimento in verifica contenuti esplicativi in realtà assenti, richiamando le argomentazioni di precedente decisione di questa Corte (Cass. sez. 1, n. 29343 del 13/06/2001, Modaffari, rv. 219477; in termini analoghi anche sez. 1, n. 18880 del 14/02/2001, Bennardo, rv. 218917Sez. 1, n. 2667 del 18/10/2011, Zangara, rv. 251844).
Questo Collegio è ben consapevole che il comportamento tenuto dal condannato nel corso della prova può rivelare il sostanziale fallimento e l’inutilità a fini risocializzanti dell’esperienza della misura alternativa sin dal suo inizio, ma il provvedimento che determini la pena residua deve chiaramente offrire indicazioni in tal senso, che nell’ordinanza in esame sono assenti, come fondatamente rilevato nel ricorso, che non si addentra ad esprimere considerazioni in punto di fatto o a proporre diverse massime di esperienza rispetto a quelle utilizzate dal Tribunale, ma a rilevare la carenza di motivazione.
Per le considerazioni svolte l’ordinanza va annullata parzialmente quanto alla determinazione della pena residua da espiare con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Salerno, che si atterrà ai principi ed ai rilievi sopra svolti.

P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla decorrenza della revoca della misura alternativa e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Sorveglianza di Salerno.
Avvocato cassazionista, svolge attività stragiudiziale e giudiziale in materia di diritto penale, con particolare riferimento al diritto penale dell’impresa e dell’economia, nonché in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Ha maturato una significativa esperienza in materia di responsabilità da colpa medica. È Presidente e componente di Organismi di Vigilanza previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 anche di società multinazionali.