In tema di riconoscimento della continuazione tra reati commessi da soggetto minorenne, l’art. 1, comma primo, D.P.R. n. 448 del 1998, che prevede l’adeguamento degli istituti processuali alla personalità ed alle esigenze educative del minore, può operare sul piano della prova del disegno criminoso unificante, nel senso che mentre lo “stile di vita” ha normalmente un valore sintomatico non elevato e di contorno, perché non consente di distinguere tra la mera ripetizione o abitualità di certi comportamenti e la loro anticipata programmazione, nel caso del minore, invece, in considerazione della particolare intensità dell’adesione a scelte di vita condizionate dall’ambiente, dal carattere e dall’immaturità del soggetto, queste scelte possono assumere un elevato significato indicativo anche circa la programmazione anticipata di singole condotte, specie in presenza di altri elementi sintomatici come la medesima tipologia dei reati commessi e la loro prossimità temporale.
(Cass. Penale Sez. I, sentenza 8 novembre 2013 – 31 gennaio 2014, n. 4716)
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Prima Penale
Sentenza 8 novembre 2013 – 31 gennaio 2014, n. 4716

[OMISSIS]

avverso l’ordinanza n. 465/2011 TRIBUNALE di ROMA, del 23/01/2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette le conclusioni del PG Dott. Galasso Aurelio, il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnato provvedimento.
RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza specificata in epigrafe il Tribunale di Roma, deliberando in funzione giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza dell’odierna ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento in executivis del vincolo della continuazione, ex art. 81 cpv. c.p. e art. 671 c.p.p., tra tutti i reati di cui alle quattordici sentenze definitive di condanna ivi indicate.
Rilevava invero detto giudice come, alla stregua della consolidata giurisprudenza in materia, non fosse possibile ritenere che i vari fatti fossero esecutivi di un medesimo e dunque preventivo disegno criminoso, trattandosi piuttosto di espressioni di uno stile di vita dedito al delitto.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetta condannata che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge, così in sintesi argomentando:
– era stata incongruamente sottovalutata l’omogeneità dei fatti, trattandosi di reati tutti aggressivi di uno stesso bene giuridico (delitti contro il patrimonio);
– le condotte criminose erano analoghe nelle loro modalità di commissione (furti in appartamento);
– i reati erano stati perpetrati nell’arco di breve spazio di tempo gli uni dagli altri e nove di essi erano stati commessi quando la ricorrente era ancora minorenne e la sussistenza del vincolo della continuazione, relativamente ad essi, era stata già riconosciuta dal Tribunale per i minorenni di Firenze con ordinanza deliberata l’11 febbraio 2003, provvedimento che il giudice dell’esecuzione non aveva in alcun modo considerato;
– il riferimento ad un preteso stile di vita della condannata incompatibile con il riconoscimento del vincolo della continuazione doveva considerarsi incongruo non avendo il giudice dell’esecuzione adeguatamente considerato che il D.P.R. 22 settembre 1998, n. 448, art. 1, comma 1, ult. per., prevede l’adeguamento alla personalità ed alle esigenze educative del minore degli istituti processuali e che tale disposizione, come già affermato da questa Corte, può pertanto operare sul piano della prova del disegno criminoso unificante, nel senso che mentre lo “stile di vita” ha normalmente un valore sintomatico non elevato e di contorno, perché non consente di distinguere tra la mera ripetizione o abitualità di certi comportamenti e la loro anticipata programmazione, nel caso del minore, invece, in considerazione della particolare intensità dell’adesione a scelte di vita condizionate dall’ambiente, dal carattere e dall’immaturità del soggetto, queste scelte possono assumere un elevato significato indicativo anche circa la programmazione anticipata di singole condotte, specie in presenza di altri elementi sintomatici quali la medesima tipologia dei reati commessi e la loro prossimità temporale.
3. Con requisitoria depositata il 27 giugno 2013 il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato non avendo il giudice dell’esecuzione tenuto conto del provvedimento del Tribunale per i minorenni di Firenze che aveva già riconosciuto la continuazione tra i reati oggetto di nove sentenze di condanna e che in particolare i fatti giudicati con le sentenze oggetto del provvedimento impugnato riguardavano fatti analoghi commessi nel medesimo arco temporale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1 Giova prendere le mosse, ribadendola, dall’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 1, 12.5.2006, n. 35797) secondo cui la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee, situazione ben diversa da una mera inclinazione a reiterare nel tempo violazioni della stessa specie, anche se dovuta a una determinata scelta di vita o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare, nel tempo, secondo contingenti opportunità (cfr., per tutte, Cass., Sez. 2A, 7/19.4.2004, Tuzzeo; Sez. 1A, 15.11.2000/31.1.2001, Barresi).
La prova di detta congiunta previsione – ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, deve di regola essere ricavata da indici esteriori significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere.
Tali indici, di cui la giurisprudenza ha fornito esemplificative elencazioni (fra gli altri, l’omogeneità delle condotte, il bene giuridico offeso, il contenuto intervallo temporale, la sistematicità e le abitudini programmate di vita), hanno normalmente un carattere sintomatico, e non direttamente dimostrativo; l’accertamento, pur officioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni.
Detto accertamento, infine, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti. In particolare, rappresenta principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che “il giudice dell’esecuzione, investito da richiesta ai sensi dell’art. 671 c.p.p., non può trascurare, ai fini del riconoscimento del vincolo della continuazione, la valutazione già operata in fase di cognizione, con riguardo a episodi criminosi commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, i fatti oggetto della domanda sottoposta al suo esame, nel senso che le valutazioni espresse in proposito nel giudizio di cognizione assumono una rilevanza indicativa da cui il giudice dell’esecuzione può anche prescindere, ma solo previa dimostrazione dell’esistenza di specifiche e significative ragioni per cui tali ultimi fatti, e soprattutto quelli omogenei rispetto a quelli tra cui il vincolo è stato riconosciuto, non possono essere ricondotti, a differenza degli altri, al delineato disegno” (Cass., sez. 1A, 15 marzo – 18 maggio 2001, Ibba, riv. 219529).
Ciò posto, ritiene il Collegio che tale principio conservi una sua intrinseca valenza anche con riferimento ad un pregresso provvedimento, quand’anche adottato in sede esecutiva, che abbia riconosciuto il vincolo della continuazione sia pure soltanto tra alcuni dei reati commessi dal condannato, nel senso che, se pure allo stesso non può riconoscersi alcun carattere vincolante con riferimento alla deliberazione sulla nuova istanza ex art. 671 c.p.p., proposta dal condannato, anche in considerazione della diversità del petitum, più ampio, tale provvedimento non può tuttavia essere totalmente ignorato dal giudice dell’esecuzione, in sede di deliberazione sulla nuova istanza, il quale, sia pure in piena libertà di giudizio, con tale precedente valutazione è tenuto comunque a confrontarsi, salvo discostarsene, motivatamente, in relazione al complessivo quadro delle circostanze di fatto e giuridiche emergenti dai provvedimenti giudiziali dedotti nel nuovo procedimento, non senza valutare, per altro, che essendo stati molti dei reati oggetto dell’istanza commessi dalla ricorrente allorquando la stessa era ancora minorenne, la disposizione del D.P.R. 22 settembre 1998, n. 448, art. 1, comma 1, ult. per., come già affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 4632 del 30/09/1998 – dep. 14/10/1998, Salis A, Rv. 212122) può operare sul piano della prova del disegno criminoso unificante.
2. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, si impone, dunque, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata per nuovo, più approfondito, esame dell’istanza tenendo presenti i rilievi sopra formulati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2014.