La effettiva conoscenza da parte dell’imputato contumace del procedimento contro lui pendente o celebratosi non può farsi discendere dalla mera notifica degli atti al difensore di ufficio (e non di fiducia) domiciliatario, salvo che non si rilevi aliunde che il difensore di ufficio si è effettivamente messo in contatto con l’assistito, così instaurando un effettivo rapporto professionale contenutisticamente identico al rapporto fiduciario col difensore di fiducia.
(Cass. Penale Sezione IV, sentenza 26-28 gennaio 2010, n. 3618) 

 
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Quarta Penale
Sentenza 26-28 gennaio 2010, n. 3618
 
[OMISSIS]
L’8 gennaio 2009 la Corte di Appello di Genova – Sezione per i Minorenni – rigettava una istanza proposta da [OMISSIS], alias [OMISSIS], intesa ad ottenere la restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza in data 4 dicembre 2002, con la quale era stata condannata alla pena di mesi sette di reclusione ed euro 300,00 di multa per tentato furto aggravato, e la conseguente sospensione della esecuzione della pena.
Osservavano i giudici del merito che l’istante aveva dichiarato di eleggere domicilio presso il proprio difensore di ufficio e “doveva essere ben consapevole di cosa ciò significasse”, avendo “così ricevuto effettiva conoscenza dell’avvio di un procedimento nei suoi confronti per il fatto di tentato furto in pari data”; che “la circostanza, poi, che il difensore domiciliatario fosse di ufficio e non di fiducia non costituisce certo presunzione dell’inefficacia della notificazione presso il difensore di ufficio …”; che “la parte istante non deduce affatto né comportamenti omissivi e/o negligenti del difensore domiciliatario, né di essersi trovata, per condizioni personali … , nell’oggettiva impossibilità di prendere contatti con il difensore di ufficio e di apprendere dell’esistenza della notificazione di atti del procedimento in questione in tempo utile per comparire nel procedimento, anziché restare contumace”; che, in conclusione, “la istante ebbe effettiva conoscenza ad inizio del procedimento e volontariamente si disenteressò in seguito alle vicende processuali”.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso l’istante, per mezzo del difensore, denunziando vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione all’art. 175, scondo comma, c.p.p. Premesso che le “notificazioni tutte, compresa quella relativa all’estratto contumaciale della sentenza, furono compiute presso lo studio dell’avvocato nominato d’ufficio nell’immediatezza”, e che “cognizione del giudizio e della condanna ella ebbe solamente in occasione della notificazione del cumulo emesso dalla Procura di Ancona in data [OMISSIS] ed avvenuta [OMISSIS] …”, deduce che illegittimamente era stato ritenuto che la notifica al difensore di ufficio fosse idonea a dimostrare la certa ed effettiva conoscenza “delle vicende del processo da parte dell’imputato e la scelata volontaria di non prendervi parte …”, e richiama al riguardo pregressi arresti giurisprudenziali di questa Suprema Cort. Soggiunge che “oltremodo illogica pare la stessa motivazione che adduce la presuntiva conoscenza da parte del ricorrente dell’intero procedimento, e del provvedimento definitivo emesso, dalla sola elezione di domicilio effettuata al momento del fermo …”, tenuto conto che “ella era minore di soli anni 14 al momento del compiuto atto …”, e che, “in ogni caso, acquisire la conoscenza dell’avvio di un procedimento penale, nemmeno iscritto ancora nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., non equivale alla conoscenza di essere stata imputata e condannata per il fatto in contestazione …”. Rileva, infine, che “i giudici ignorano come non spetta all’imputato dare la prova negativa della conoscenza effettiva della sentenza pronunciata nel giudizio contumaciale, dovendo esso limitarsi a palesare l’assunto, mentre grava sul giudice il compito di procurare la prova positiva …”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
Deve, invero, premettersi, sotto un profilo d’ordine generale e sistematico, che è ben noto che con la modifica apportata all’art. 175 c.p.p. dal D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito in L. 22 aprile 2005, n. 60  – al fine di recepire nel nostro ordinamento i principi sanciti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (tra le altre, sentenza 10 novemre 2004, n. 56581, Seidovic) -, quanto all’imputato giudicato in contumacia ed alla sua richiesta di restituzione nel termine per impugnare la relativa sentenza, è stata introdotta una vera e propria inversione dell’onere probatorio, nel senso che non incombe più sull’imputato l’onere di dimostrare di avere ignorato l’esistenza del procedimento o del provvedimento senza sua colpa, ma è il giudice che deve provare, sulla base degli atti di causa, che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenzadel procedimento o del provvedimento e che abbia volontariamente rinunciato a comparire o a proporre gravame.
Il novellato art. 175 c.p.p., in sostanza, “non inficia la presunzione di conoscenza derivante dalla rituale notificazione dell’atto, ma si limita ad escludere la valenza assoluta, imponendo al giudice di verificare l’effettività della conoscenza dell’atto e la consapevole rinuncia a comparire/impugnare”, conformemente ai principi espressi dalla Corte europea, la quale ha rilevato (sentenza 7 ottobre 1988, Salabiaku) che tutti i sistemi conoscono presunzioni di fatto e di diritto nel campo penale e che la Convenzione europa dei diritti dell’uomo non contiene ostacoli di principio, ma prescrive solo agli Stati contraenti di “non oltrepassare al riguardo una soglia ragionevole”, tenuto conto per un verso della rilevanza della “posta in gioco” e, per altro verso, dell’esigenza di assicurare e garantire il diritto di difesa (così Cass., sez. 1 marzo 2006, n. 14265).
E’ dunque, fermo restando il valore legale delle notificazioni ritualmente effettuate, in subiecta materia il giudice è tenuto a dare contezza della ritenuta validità di non notificazione, validamente eseguita alla stregua della vigente normativa al riguardo, al fine di ritenere la effettiva conoscenza dell’atto da parte dell’interessato, con la conseguenza che, ovviamente, tale effettiva conoscenza non può definitivamente ritenersi, iuris et de iure, solo in virtù di una notificazione pur effettuata nelle prescritte forme di rito.
E’ stato anche già chiarito da questa Suprema Corte (se. I, 16 gennaio 2009, n. 3746), e va qui del tutto condivisibilmente ribadito, che “nonostante l’espressione apparentemente impropria di procedimento contenuta nel secondo comma dell’art. 175 c.p.p., è da ritenere che esso si riferisca alla fase del processo tecnicamente inteso, unica sede in cui trova applicazione l’istituto dela contumacia e si colloca un intervento difensivo qualificato dalla presenza dell’imputato … Nella prospettiva dell’art. 6 della CEDU, la conoscenza effettiva del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l’accusato … al fine di consentirgli di difendersi nel merito …; sotto il profilo dell’effettività del diritto dell’autodifesa, farsi sentire da un soggetto diverso da quello chiamato a decidere la causa e l’esercizio della difesa in un momento in cui l’addebito è ancora fluido e provvisorio e non vi sono obblighi di discovery da parte del pubblico ministero, differiscono in modo significativo dal diritto di ascolto di fronte a chi è chiamato a pronunciarsi sul merito di un’accusa tendenzialmente stabilita e sulla scorta di materiale probatorio comune a tutti i soggetti”.
Posto che quali elementi indicativi della conoscenza effettiva del procedimento sono stati ritenuti dalla giurisprudenza di legettimità la nomina di un difensore di fiducia, l’elezione di domicilio presso lo stesso, l’effettività della difesa fiduciaria nel corso del processo, la notifica degli atti nel domicilio eletto, “ritenere che la rinuncia possa essere espressa mediante comportamenti concludenti non significa, però, ammettere presunzioni fondate su una conoscenza indiretta dell’apertura di un procedimento per poi inferire da esse una volontaria assenza dal processo: la rinuncia tacita deve consistere in un comportamento incompatibile con l’esercizio del diritto di partecipare al proprio processo preceduta, almeno, da una comunicazione all’imputato, che, secondo la Corte europea, può essere fornita anche al difensore, qualora l’imputato abbia eletto eletto domicilio presso quest’ultimo”; ed “in tale prospettiva, l’avviso deve contenere le imputazioni contestate, la data del processo e le indicazioni delle conseguenze cui il soggetto va incontro in caso di mancata presentazione all’udienza fissata, così da metterlo in condizione di scegliere consapevolmente come esercitare il proprio diritto di difesa …”.
Alla stregua di tali principi, erroneamente, nella fattispecie che ci occupa, i giudici del merito hanno ritenuto che la conoscenza del procedimento da parte dell’istante possa essere derivata solo dalla conoscenza degli atti assunti in occasione del suo accompagnamento “per identificazione … dopo essere stata individuata autrice di un tentativo di furto in abitazione ed aver subito il sequestro di un cacciavite … dichiarando in quell’occasione “di eleggere domicilio presso il difensore di ufficio avv. [OMISSIS]”: a quel momento, difatti, non vi era stato alcun atto o alcuna formale vocatio in iudicium, con esplicitazione della imputazione contestata, la data del processo e l’indicazione delle conseguenze derivanti dalla mancata presentazione all’udienza indicata, richiamato quanto già s’è detto sulla rilevanza della conoscenza del processo ai fini del diniego della istanza di restituzione del termine.
Inoltre, in relazione alla circostanza che l’istante ebbe ad eleggere domicilio presso il difensore di ufficio, è consolidato principio espresso da questa Suprema Corte che, ai fini che qui interessano, la effettiva conoscenza da parte dell’imputato contumace del procedimento contro di lui pendente o celebratosi, non può farsi discendere dalla mera notifica degli atti al difensore di ufficio (e non di fiducia) domiciliatario, salvo che non si rilevi aliunde che il difensore di ufficio si è effettivamente messo in contatto con l’assistito, così instaurando un effettivo rapporto professionale contenutisticamente identico al rapporto fiduciario col difensore di fiducia (da ultimo, Cass. sez. I, n. 3746/2009, cit.).
Il provvedimento impugnato va, dunque, annullato, con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Genova – Sezione per i minorenni.
Ai fini dell’art. 52, comma 5, D.L.vo 30 giugno 2003, n .196, va disposto che in caso di diffusione del presente provvedimento vengano omessi le generalità e gli altri dati identificativi dell’imputata ricorrente.
[OMISSIS]
 

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