E’ inammissibile l’istanza ex art. 35 ter O.P. che non indichi i periodi di detenzione lesivi della dignità umana, le carceri ove si è patita tale illegittima detenzione nonché le specifiche condizioni detentive in relazione ai quali si deduce un trattamento penitenziario subito in violazione dell’art. 3 CEDU.
(Cass. Sezione I Penale, 13 maggio – 27 maggio 2015, n. 22164)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto – Presidente –
Dott. TARDIO Angela – Consigliere –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. MAGI Raffaello – Consigliere –
Dott. CENTONZE Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
Avverso il decreto n. 4688/2014 emessa il 03/09/2014 dal Magistrato di sorveglianza di Cosenza;
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere Dott. Alessandro Centonze;
Udito il Procuratore generale, in persona del Dott. Canevelli Paolo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
1. Con decreto emesso il 03/09/2014 il Magistrato di sorveglianza di Cosenza, dichiarava inammissibile il reclamo proposto da OMISSIS ai sensi dell’art. 35 bis, art. 69, comma, 6, lett. b), Ord. Pen., finalizzato a ottenere il risarcimento del danno conseguente alla detenzione patita presso la Casa circondariale di Rossano ex art. 35 ter Ord. Pen., che si riteneva non conforme ai parametri elaborati dalla giurisprudenza comunitaria in relazione alla disposizione dell’art. 3 CEDU. Nel decreto, in particolare, si rilevava che l’istanza proposta dal OMISSIS, in relazione al pregiudizio detentivo di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), Ord. Pen., presupponeva l’indicazione specifica dei periodi di detenzione sofferti in contrasto con l’art. 3 CEDU, corredata dell’indicazione dei vari istituti di pena, dove erano stati espiati. Tali indicazioni, nel caso di specie, non erano state rispettate, atteso che l’istanza proposta dal OMISSIS era estremamente generica e imprecisa sotto entrambi i profili richiamati, non consentendo la corretta attivazione della procedura risarcitoria richiesta.
Tali ragioni inducevano il magistrato di sorveglianza a ritenere inammissibile il reclamo proposto.
3. Avverso tale decreto, OMISSIS ricorreva per cassazione, con atto depositato personalmente il 15/09/2014, ribadendo nel suo ricorso la sussistenza di condizioni di detenzione che si ponevano in palese contrasto con la previsione dell’art. 3 della CEDU, così come richiamate nell’originario reclamo proposto al Magistrato di sorveglianza di Cosenza, imponendo l’attivazione della procedura finalizzata al conseguente del rimedio risarcitorio di cui all’art. 35 ter Ord. Pen..
Si richiamavano, a conferma di tale ricostruzione, le specifiche condizioni detentive, con riferimento al numero di detenuti ubicati nella cella dove il OMISSIS era stato ristretto, allo spazio abitativo individuale e all’inadeguatezza delle condizioni igieniche, in relazione ai quali aveva richiesto al magistrato di sorveglianza adito che venissero eseguiti gli accertamenti preliminari finalizzati a verificare la fondatezza dell’istanza.
Queste ragioni imponevano l’annullamento del decreto impugnato dal OMISSIS.
1. Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, deve rilevarsi che il rimedio risarcitorio attivato da OMISSIS ai sensi dell’art. 35 ter Ord. Pen. costituisce una tutela specifica conseguente al pregiudizio subito dal detenuto per le sofferenze, psicologiche e morali, patite in conseguenza di un trattamento penitenziario ritenuto difforme rispetto ai parametri elaborati dalla giurisprudenza comunitaria.
Nel caso di specie, il ricorrente si doleva del fatto che il Magistrato di sorveglianza di Cosenza non aveva compiuto gli accertamenti preliminari funzionali a verificare se la condizione detentiva subita potesse integrare la violazione dell’art. 3 CEDU, dando origine a un trattamento inumano e degradante, in presenza del quale è esperibile lo specifico rimedio risarcitorio previsto all’art. 35 ter Ord. Pen..
Deve, tuttavia, rilevarsi che l’istanza proposta dal OMISSIS si limitava a richiamare genericamente la ricorrenza dei presupposti legittimanti l’applicazione dell’art. 69, comma 6, lett. b), Ord. Pen., senza indicare gli istituti di pena dove la detenzione patita era stata eseguita e i periodi di carcerazione con riferimento ai quali si sarebbe concretizzato un trattamento inumano censurabile per violazione dell’art. 3 CEDU. Occorreva, quindi, che l’istanza proposta dal F. consentisse al Magistrato di sorveglianza di Cosenza di verificare preliminarmente la sussistenza dei presupposti indispensabili per l’attivazione dei poteri di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), Ord. Pen., che presuppongono la “inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti”. Tale disposizione, a sua volta, deve essere coordinata con quella prevista dall’art. 35 ter, comma 1, Ord. Pen., secondo cui: “Quando il pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio”.
In questi termini, la genericità dei motivi dedotti dal OMISSIS a sostegno delle sue pretese risarcitorie e l’univoca formulazione dell’art. 35 bis, comma 4, Ord. Pen., così come introdotta dal D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, secondo cui avverso la decisione del magistrato di sorveglianza è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Non può, pertanto, non concordarsi con le conclusioni raggiunte nel decreto impugnato, laddove a pagina 1, si affermava: “Nella specie, l’istanza è estremamente generica ed imprecisata, poichè non si indicano i periodi di detenzione lesivi della dignità umana e le carceri ove ha patito tale illegittima detenzione, limitandosi il richiedente ad una richiesta di “concessione del beneficio” non meglio specificata”.
Ne discende conclusivamente che, nelle ipotesi in cui il detenuto propone reclamo al magistrato di sorveglianza, ai sensi degli artt. 35 bis e 69, comma 6, lett. b), Ord. Pen., finalizzato a ottenere il rimedio risarcitorio previsto dall’art. 35 ter Ord. Pen., ha l’onere di indicare, a pena di inammissibilità, i periodi di detenzione, le strutture carcerarie e le ragioni, inerenti alle specifiche condizioni detentive, in relazione ai quali si deduce un trattamento penitenziario subito in violazione dell’art. 3 CEDU. 2. Per queste ragioni, il ricorso proposto da F.F. deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, congruamente determinabile in 1.000,00 Euro, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.