Quando il rapporto di difesa fiduciaria sorge in un procedimento che ha già individuato il fatto, o i fatti, oggetto di imputazione anche solo provvisoria, rispetto al quale o ai quali interviene poi la sentenza che passa in giudicato, in assenza di un’esplicita comunicazione al giudice procedente dell’avvenuta interruzione di ogni rapporto con l’assistito – interruzione irreversibile che abbia inciso nel procedimento al punto da attribuire ad autonoma e discrezionale scelta del difensore, nell’inconsapevolezza dell’assistito, ogni successiva iniziativa procedimentale – deve ritenersi acquisita la prova che il condannato ha avuto conoscenza dell’evoluzione del procedimento in termini tali da attribuire alla sua volontà specifica l’assenza dal processo: ciò salvo specifica, puntuale e rigorosa prova contraria da parte degli interessati.

 
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Sesta Penale
Sentenza 2 dicembre 2009 – 7 gennaio 2010, n. 66
 
 
[OMISSIS]
Richiesta da P.C. di essere rimesso in termini ex art. 175 c.p.p. per proporre impugnazione avverso la sentenza 8.6.1994, definitiva il 4.12.1994, con ordinanza del 13.3.2009 la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria rigettava l’istanza, argomentando che:
– P.C. aveva dedotto di essere rimasto latitante dal 1998 (in realtà dal 1990) fino al 15.2.2008, data in cui era stato arrestato, acquisendo notizie di questo giudicato solo a seguito della notifica del provvedimento di esecuzione pena;
– dagli atti risultava che lo stessa era sempre stato assistito da difensori fiduciari ai quali aveva conferito espresso mandato, e comunque risultava documentalmente che avesse personalmente seguito lo sviluppo del procedimento a suo carico, tant’è che dopo l’emissione dell’ordinanza che aveva disposto il rinvio a giudizio per l’udienza del 28.2.1992, aveva conferito, in data 12.2.1992 e presso uno studio notarile, ai propri difensori fiduciari mandato anche “per proporre impugnazione in ogni fase e grado del processo … e ad esercitare in sua vece ogni facoltà processuale per legge concessa all’imputato …”;
– da ciò si evinceva in maniera inequivoca che il P.C. era ben a conoscenza sia del procedimento che della condanna conseguita in primo grado (giacchè tale procura era stata depositata il 13.2.1993).
Ricorre con atto personale il P.C., denunciando con unico motivo violazione di legge in relazione all’applicazione dell’art. 175 c.p.p.
[OMISSIS]
Il ricorso è manifestamente infondato.
[OMISSIS]
La procura speciale che ha attribuito l’incarico difensivo fiduciario (poi attivato in modo conforme al suo contenuto attraverso l’impugnazione delle sentenze di primo grado e di appello) fa espresso riferimento al procedimento in question, contenendo pure la specifica indicazione del numero di registro generale dell’Assise di primo grado: ciò attesta la puntuale e piena conoscenza tanto della pendenza del processo nella fase dibattimentale che della specifica imputazione.
Tale atto di procura, quindi, e lo stato di volontaria permanenza in latitanza (originato dalla violazione di meno gravosa misura cautelare e pertanto nella piena consapevole volontà di sottrarsi al processo) costituiscono indici autonomi di conoscenza effettiva, da parte dell’imputato, del procedimento e della sua pendenza in fase dibattimentale (Sez. 1, sent. 16704 del 5 marzo – 22 aprile 2008, in proc. Riccardi), e pertanto della conseguente volontà di non partecipare personalmente alla celebrazione del processo.
Si aggiunga, con rilievo autonomo rispetto a quello – pur per sè sufficiente – già evidenziato, come non risulti che in alcuna fase del processo la difesa fiduciaria abbia comunicato la perdita definitiva dei contatti con l’assistito, dopo la ricezione ed accettazione della procura.
Ora, quando il rapporto di difesa fiduciaria sorge in un procedimento che ha già individuato il fatto, o i fatti, oggetto di imputazione anche solo provvisoria, rispetto al quale o ai quali interviene poi la sentenza che passa in giudicato, in assenza di un’esplicita comunicazione al giudice procedente dell’avvenuta interruzione di ogni rapporto con l’assistito – interruzione irreversibile che abbia inciso nel procedimento al punto da attribuire ad autonoma e discrezionale scelta del difensore, nell’inconsapevolezza dell’assistito, ogni successiva iniziativa procedimentale – deve ritenersi acquisita la prova che il condannato ha avuto conoscenza dell’evoluzione del procedimento in termini tali da attribuire alla sua volontà specifica l’assenza dal processo: ciò salvo specifica, puntuale e rigorosa prova contraria da parte degli interessati.
In tali termini, quando si realizza un tale contesto (difesa fiduciaria in atto e assenza di comunicazione alcuna sull’avvenuta interruzione dei rapporti con l’assistito), quella sorta di presunzione iuris tantum di non conoscenza della pendenza del procedimento da parte dell’imputato, che caratterizza la disciplina della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale dopo la L. n. 60 del 2005 (Sen. 6, sent. 2718 del 16 dicembre 2008 – 21 gennaio 2009, in proc. Holczer), viene meno. E ciò non perchè operi una presunzione legale, astratta, formalistica, in senso contrario, ma perchè si è in presenza di un “fatto concreto e specifico” – la “pendenza del rapporto di difesa fiduciaria senza comunicazione di interruzione alcuna” – per sè idoneo a provare la conoscenza dell’imputato, secondo la regola di comune consolidata esperienza.
Non c’è dubbio, infatti, che la valenza probatoria e significativa del rapporto di difesa fiduciaria in atto – ai fini di una tale effettiva ed efficace conoscenza da parte dell’assistito – debba essere apprezzata con riferimento ai dati normativi, anche di natura deontologica, che caratterizzano l’esercizio della professione forense e che, in quanto tali, indicano il “contenuto significante” minimo e quindi certo, in assenza di indicazioni specifiche contrarie, del “fatto concreto” – “difesa fiduciaria in atto”.
Vanno in particolare ricordate le seguenti norme del codice deontologico forense, nel testo comprensivo delle ultime modifiche apportate con Delib. CNF 12 giugno 2008:
– l’art. 6 prescrive che l’avvocato svolga la propria attività professionale con lealtà e correttezza;
– l’art. 7 prevede il dovere di svolgere con fedeltà la propria attività professionale, costituendo infrazione disciplinare il compimento consapevole di atti contrari all’interesse dell’assistito;
– l’art. 8 obbliga all’adempimento dei doveri professionali con diligenza;
– l’art. 14, comma 1, obbliga a dichiarazioni in giudizio relative alla esistenza o inesistenza di fatti obiettivi che siano presupposto specifico per un provvedimento del magistrato, e di cui l’avvocato abbia diretta conoscenza, che siano vere e comunque tali da non indurre il giudice in errore;
– l’art. 35 stabilisce che il rapporto con la parte assistita è fondato sulla fiducia;
– l’art. 36, comma 1. obbliga l’avvocato a difendere gli interessi della parte assistita nel miglior modo possibili nei limiti del mandato, nell’osservanza della legge e dei principi deontologici;
– l’art. 40, comma 1, obbliga l’avvocato ad informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia e delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di assoluzione possibile. L’avvocato ha anche l’obbligo di informare il proprio assisitito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta;
– il secondo capoverso dell’art. 40 obbliga l’avvocato a comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione.
Apprezzando queste norme nella loro sistematicità, emerge con evidenza una ricostruzione sistematica della difesa fiduciaria come una situazione di fatto nella quale la scelta della finalità della strategia difensiva perseguita ed il compimento di atti procedimentali detrminati, come le impugnazioni, presuppongono fisiologicamente, quindi come contesto corrispondente a una massima di consolidata comune esperienza, l’informazione all’assistito e la sua consapevolezza. La costanza della difesa fiduciaria è pertanto fatto di per sè normalmente significativo della permanenza anche del doveroso rapporto di reciproca informazione e consultazione tra difensore e assistito.
Ogni scostamento dal modello sistematico fisiologico, ed in particolare l’effettiva interruzione di qualsiasi relazione tra il difensore ed assistito che renda il difensore arbitro autonomo di ogni tipo di scelta procedimentale, costituisce eccezione che, per gli obblighi deontologici prima ricordati, deve essere portata a conoscenza del giudice, perchè idonea tra l’altro a determinare suoi provvedimenti (si pensi, ad esempio, all’esercizio dei poteri di cui all’art. 420 ter, comma 2, c.p.p., art 484, comma 3, c.p.p. e art. 598 c.p.p.).
Questo perchè l’interruzione dei rapporti è tendenzialmente in intrinseca incompatibilità con la nozione stessa di difesa fiduciaria, tant’è che fisiologicamente a tale interruzione consegue usualmente la rinuncia al mandato fiduciario a suo tempo ricevuto.
E’ ben vero che il difensore fiduciario può ritenere di proseguire il proprio incarico, anche compiendo in proprio scelte che ritiene comunque utili al (già) assistito, per le ragioni più diverse, anche apprezzabili (non disinteressarsi della sorte del cliente “non diligente”). Ma in tale evenienza si determina una situazione in realtà nella sostanza sovrapponibile a quella della difesa di ufficio del non reperibile, sicché la prosecuzione dell’assistenza in forma fiduzciaria senza la contestuale comunicazione al giudice procedente dell’anomalia in atto costituirebbe situazione idonea ad indurre in errore quel giudice: il che è proprio ciò che è espressamente l’art. 14, comma 1, del codice deontologico forense impone di impedire. 
Anche l’art. 157, comma 8 bis, c.p.p., laddove impone al difensore fiduciario la segnalazione immediata dell’indisponibilità a ricevere le notificazioni destinate all’imputato non detenuto, concorre ad attestare una ricostruzione sistematica nel senso che la difesa fiduciaria fisiologicamente si caratterizza per la costanza del “contatto informato” tra difensore e assistito sicchè, in assenza di rigorosa prova contraria, costituisce “fatto” idoneo a comprovare una muta informazione in atto.
[OMISSIS]
 
 
 

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