La distinzione tra sottrazione e impossessamento è di fondamentale rilievo ai fini della individuazione del momento consumativo della rapina impropria, giacchè, una volta esclusa la rilevanza dell’impossessamento, in quanto non costitutivo dell’elemento materiale del reato, il discrimine tra “rapina impropria consumata” e “rapina impropria tentata” rimane affidato proprio alla “sottrazione”. Di conseguenza, il fatto che la sottrazione sia portata a compimento o meno segna la differenza tra la rapina impropria consumata e la rapina impropria tentata.
(Cass. Sezione II Penale, 22 febbraio – 8 marzo 2017, n. 11135)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente –
Dott. GALLO Domenico – rel. Consigliere –
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere –
Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso la ordinanza 14/11/2016 del Tribunale per il riesame di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
1. Con ordinanza in data 14/11/2016, il Tribunale di Milano, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di OMISSIS, indagato per il reato di rapina impropria, confermava l’ordinanza del Gip di Milano, emessa in data 3/11/2016, con la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare della custodia in carcere.
2. Il Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria fondato sul verbale di arresto di arresto in flagranza di reato e sulle stesse ammissioni del prevenuto e respingeva l’istanza della difesa di derubricare il fatto in tentativo di furto ovvero in tentativo di rapina impropria. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di reiterazione del reato, reputando la custodia cautelare in carcere come l’unica misura adeguata.
3. Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame.
3.1 Con il primo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 56 e 628 cod. pen. e vizio della motivazione in punto di qualificazione giuridica del fatto. Al riguardo eccepisce che l’azione criminosa è rimasta nell’ambito del delitto tentato poichè la condotta è stata interrotta in itinere avendo l’intervento della polizia impedito l’uscita della refurtiva dalla sfera del controllo del soggetto passivo. Eccepisce inoltre, l’assenza di un collegamento logico-temporale fra l’aggressione alò patrimonio e l’aggressione alla persona.
3.2 Con il secondo motivo si duole che il Tribunale abbia ritenuto sussistente l’aggravante di cui al n. 3 dell’art. 628 cod. pen. sebbene non contestata dal P.M. nel capo di incolpazione provvisorio. Al riguardo eccepisce che la modifica dell’originaria contestazione mossa dal P.M. esula dai poteri del Tribunale del riesame.
1. Il ricorso è infondato.
2. Va premesso che, con sentenza n. 34952 del 2012, le Sezioni unite di questa Corte – superando il precedente contrasto giurisprudenziale hanno stabilito che “E’ configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità” (Cass., sez. un., n. 34952 del 19/04/2012, imp. Reina, Rv. 253153). La pronuncia citata assume speciale importanza, non solo per il principio appena richiamato che ammette la configurabilità del tentativo di rapina impropria, ma anche per aver posto in chiaro che un’importante differenza – quanto alla consumazione del reato – tra la fattispecie della rapina propria (art. 628 c.p., comma 1) e quella della rapina impropria (art. 628 c.p., comma 2): mentre la rapina propria si consuma (come il furto) solo quando che si sono verificati sia la sottrazione della cosa mobile altrui sia l’impossessamento della stessa; la rapina impropria, invece, si consuma con la sola sottrazione della cosa, senza che occorra che si sia verificato anche l’impossessamento. Sul punto, le Sezioni Unite hanno sottolineato che “l’art. 628 c.p., comma 2 fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all’impossessamento, ciò che conduce a ritenere che il delitto di rapina impropria si possa perfezionare anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per un breve spazio temporale, della disponibilità autonoma dello stesso”; e hanno osservato che, ai fini della configurazione della rapina impropria, “il legislatore (…) non richiede il vero e proprio impossessamento della cosa da parte dell’agente, ritenendo sufficiente per la consumazione la sola sottrazione, così lasciando spazio per il tentativo ai soli atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa altrui”.
3. Va osservato, infatti, che l’impossessamento non costituisce elemento materiale della fattispecie criminosa, ma è richiesto dalla norma incriminatrice – ai fini della configurabilità del reato di rapina impropria solo come scopo della condotta, in alternativa allo scopo di procurare a sè o ad altri l’impunità. L’impossessamento non costituisce, cioè, l’evento del reato, necessario per la sua consumazione, ma è posto a base del “dolo specifico” richiesto dalla norma incriminatrice (art. 628 c.p., comma 2), dimodochè, ai fini della consumazione del reato, non è necessario che l’agente consegua effettivamente l’impossessamento della res: è sufficiente che egli abbia usato la violenza o la minaccia al fine di conseguirlo. Esiste, peraltro, una radicale diversità concettuale tra “sottrazione” e “impossessamento”: la prima consiste nel mero “spossessamento” altrui, ossia nel fatto che altri venga privato del possesso di una cosa; l'”impossessamento”, invece, consiste nell’acquisto del possesso sulla cosa sottratta ad altri, ossia nel fatto che l’agente acquisti su di essa una signoria indipendente e autonoma. E sebbene nella maggior parte dei casi “sottrazione” e “impossessamento” avvengono in una continuità temporale che può rendere difficile distinguerli, non sempre è così: come nell’esempio classico del ladro che, trovandosi su un camion in corsa, getta sulla strada alcune merci (consumando così la sottrazione), affinchè in seguito esse vengano raccolte e fatte proprie dai suoi complici (così conseguendo solo allora l’impossessamento).
4. Orbene, questa distinzione tra sottrazione e impossessamento è di fondamentale rilievo ai fini della individuazione del momento consumativo della rapina impropria, giacchè, una volta esclusa la rilevanza dell’impossessamento (in quanto non costitutivo dell’elemento materiale del reato), il discrimine tra “rapina impropria consumata” e “rapina impropria tentata” rimane affidato proprio alla “sottrazione”.
Si può dire, anzi, che la “sottrazione”, quale componente dell’elemento materiale del reato di rapina, assume un ruolo centrale, nella definizione della figura criminosa della rapina, sotto due profili: in primo luogo, perchè il momento temporale in cui avviene la sottrazione, rispetto alla violenza o alla minaccia, segna la differenza tra la rapina propria e la rapina impropria; in secondo luogo, perchè il fatto che la sottrazione sia portata a compimento o meno segna – a sua volta – la differenza tra la rapina impropria consumata e la rapina impropria tentata.
5. Sotto il primo profilo, va osservato che la sottrazione (e le modalità con cui essa è attuata) costituisce il punto di snodo, che consente di distinguere la rapina propria dalla rapina impropria. Infatti, mentre nella rapina propria la sottrazione deve avvenire mediante violenza o minaccia e, quindi, la sottrazione segue (e non precede) la violenza o la minaccia, configurandosi come il risultato di esse; nella rapina impropria, invece, la sottrazione deve avvenire (come nel furto) senza violenza o minaccia e, perciò, la sottrazione precede (e non segue) la violenza o minaccia, le quali sono poste in essere, non al fine di sottrarre la cosa mobile altrui, ma al fine di fine di assicurare a sè o ad altri il possesso della cosa sottratta o al fine di procurare a sè o ad altri l’impunità.
Sotto il secondo profilo, poi, la “sottrazione” – a sua volta – costituisce, a seconda che sia consumata o meno, l’elemento che consente di distinguere la rapina impropria consumata dalla rapina impropria tentata.
Infatti, alla stregua di quanto dianzi detto, non è configurabile il tentativo di rapina impropria per procurarsi l’impossessamento. Essendo invero l’impossessamento un elemento che fa parte del “dolo specifico” (quale fine dell’azione), e non costituisce l’evento del reato, perchè la rapina impropria sia consumata, non è necessario che l’agente consegua effettivamente l’impossessamento della res, essendo sufficiente che abbia agito al fine di conseguirlo. In altre parole, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui, l’aver adoperato violenza o minaccia per assicurare a sè o ad altri il possesso della res, costituisce rapina impropria consumata, e non rapina impropria tentata, anche se l’impossessamento non si verifica. Quanto detto vuoi dire che la possibilità di distinguere tra rapina impropria consumata e rapina impropria tentata dipende solo dalla avvenuta consumazione, o meno, della “sottrazione”.
6. Tanto premesso occorre considerare che nel caso di specie risulta che l’indagato fu sorpreso dalla polizia mentre si trovava con altri due complici all’interno dell’appartamento di proprietà di OMISSIS. Gli agenti intervenuti constatavano che gli indagati avevano già provveduto a tagliare la cassaforte e ad asportarne il contenuto, riponendolo in una borsa marrone che “avevano lasciato sul letto dopo che erano stati sorpresi in flagranza.” In questo contesto uno dei complici, OMISSIS, fu fermato sulle scale, appena uscito dall’appartamento con indosso monili sottratti dall’appartamento della persona offesa.
Stante questa incontestabile situazione di fatto, occorre valutare se vi sia stata la consumazione della “sottrazione” della refurtiva, al fine dell’impossessamento.
7. Ad opinione del Collegio l’intervento della polizia ha interrotto l’azione criminosa, impedendo l’impossessamento, ma non la sottrazione, degli oggetti preziosi prelevati dalla cassaforte di OMISSIS. Lo sviluppo dell’azione criminosa – salvo una più completa valutazione in sede di merito – è stato interrotto dagli agenti di polizia quando ormai la sottrazione si era consumata perchè gli oggetti preziosi erano stati prelevati dalla cassaforte e riposti in una borsa nella disponibilità degli indagati. Di conseguenza deve ritenersi corretta la qualificazione del fatto in termini di rapina impropria consumata anzichè tentata.
8. Infine occorre precisare che sono manifestamente infondate le ulteriori eccezioni sollevate dalla difesa ricorrente.
Nella fattispecie è incontestabile la sussistenza di un nesso logico-temporale fra la condotta di sottrazione tentata e la resistenza operata dall’indagato per procurare a sè stesso l’impunità. Per cui non può sussistere alcun dubbio che il fatto debba essere qualificato come rapina impropria, anzichè come furto tentato.
9. Del pari è manifestamente infondata la doglianza sollevata con il secondo motivo di ricorso in punto di sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628 cod. pen., n. 3 bis. Nel caso di specie il Tribunale del riesame non ha modificato l’originaria contestazione mossa dal p.m., ma si è limitato ad osservare che l’aggravante era contenuta nella contestazione attraverso la descrizione del fatto poichè il capo di incolpazione dava atto che l’indagato per compiere l’azione criminosa si era introdotto in un luogo di privata dimora.
10. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato art. 94.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.