L’elezione di domicilio essendo un atto formale, tale deve essere anche l’atto di revoca che può provenire solo dall’imputato e non con atto unilaterale del difensore.
(Cass. Penale Sezione II, 2 luglio – 22 luglio 2015, n. 31969)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIANDANESE Franco – Presidente –
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere –
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere –
Dott. PELLEGRINO Andrea – est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
OMISSIS, rappresentato e assistito dall’avv. OMISSIS, di fiducia;
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze, seconda sezione penale, n. 822/2011, in data 24.01.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Dott. Andrea Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Dott. Scardaccione Eduardo Vittorio che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
1. Con sentenza in data 24.01.2014, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, rideterminava la pena nei confronti di V.D. nella misura di anni tre di reclusione ed Euro 900,00 di multa in relazione ai reati di truffa continuata e falso in titoli di credito, con conferma nel resto della pronuncia di primo grado.
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di OMISSIS, viene proposto ricorso per cassazione, per lamentare:
– violazione di legge (art. 420 bis c.p.p., comma 1 e art. 161 c.p.p.) per omessa citazione dell’imputato (nullità ex art. 179 c.p.p.), dovuta ad erronea citazione dello stesso presso il difensore domiciliatario nonostante e dopo l’espressa revoca dell’accettazione delle notificazioni da parte di quest’ultimo; nullità ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) già dedotta in sede di impugnazione e in udienza d’appello (primo motivo);
– violazione di legge (art. 420 ter c.p.p., comma 1) per omessa valutazione del referto attestante l’assoluto impedimento dell’imputato a comparire all’udienza del 24.01.2014 (secondo motivo).
1. Il ricorso è infondato e, come tale, immeritevole di accoglimento.
2. Con riferimento al primo motivo di ricorso, lamenta il ricorrente come ogni atto del processo di primo grado successivo al 15.11.2007 risulti affetto da nullità ex art. 179 c.p.p. perchè derivante da omissione della citazione a giudizio dello stesso ricorrente. Si osserva al riguardo come, in data 15.11.2007, il difensore di fiducia precedentemente nominato, avv. OMISSIS, presso il cui studio il ricorrente aveva formalmente eletto domicilio in data 11.09.2007, avesse depositato in cancelleria, unitamente alla propria dichiarazione di rinuncia all’incarico difensivo, anche l’espressa dichiarazione di revoca della propria domiciliazione.
2.1. V’è da rilevare preliminarmente come, essendo l’elezione di domicilio un atto formale, tale deve essere anche l’atto di revoca che può provenire solo dall’imputato e non con atto unilaterale del difensore.
Ne consegue che le notificazioni eseguite al domicilio eletto sono assistite dalla presunzione legale, non suscettibile di dimostrazione contraria, che l’interessato abbia avuto o potuto avere notizia dell’atto di cui si tratta (v., Sez. 5, sent. n. 5198 del 27/10/1999, dep. 04/02/2000, Cattro, Rv. 215252, secondo cui la nomina del difensore, l’elezione di domicilio e le rispettive revoche, corrispondono a scopi diversi, e la revoca dell’una non comporta anche la revoca dell’altra: trattasi di distinti istituti processuali aventi oggetto e finalità diversa. Per la loro autonomia, il venir meno della qualità di difensore presso il quale sia stato eletto domicilio, non fa cessare gli effetti dell’elezione (o viceversa), senza una espressa dichiarazione dell’interessato nella stessa forma con la quale essa è avvenuta, in quanto l’elezione è un atto formale e tale deve essere anche l’atto di revoca, con la conseguenza che le notificazioni eseguite al domicilio eletto sono assistite dalla presunzione legale, non suscettibile di dimostrazione contraria, che l’interessato abbia avuto o potuto avere notizia dell’atto di cui si tratta).
2.2. Invero, l’art. 162 c.p.p., comma 1, prevede espressamente che sia la dichiarazione che l’elezione di domicilio, come pure ogni dichiarazione di loro mutamento (e nel concetto di mutamento, va necessariamente ricompresa l’ipotesi di revoca: cfr., Sez. 1, sent.
n. 22645 del 14/05/2014, dep. 30/05/2014, Mammetti, non massimata sul punto) producono effetto solo se, assistiti da determinate formalità, siano comunicati all’autorità procedente dall’imputato che, necessariamente, è l’unico soggetto che, con la propria volontà, può decidere se, dove e fino a quando gli atti a lui destinati possano e debbano essergli notificati in un luogo diverso dalla sua residenza (cfr., Sez. 1, sent. n. 8116 del 11/02/2010, dep. 01/03/2010, Bouhlga, Rv. 246387; Sez. 1, sent. n. 22760 del 29/03/2007, dep. 11/06/2007, Bardhi, Rv. 236789), rimanendo inefficace, a qualunque fine, la mera dichiarazione di revoca dell’elezione di domicilio che provenga unilateralmente dal solo difensore.
2.3. Fermo quanto precede, la Corte territoriale, dopo aver preso atto che l’OMISSIS non ebbe mai a revocare l’elezione di domicilio presso il proprio difensore di fiducia avv. OMISSIS e che quest’ultimo non risulta aver rifiutato la notificazione della citazione per l’udienza del 03.07.2008 effettuata a mani dall’ufficiale giudiziario, con ordinanza resa all’udienza dell’11.10.2013, con motivazione del tutto giustificata, respingeva l’infondata eccezione.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
Evidenzia il ricorrente come all’udienza, in sede di giudizio d’appello, del 24.01.2014, l’imputato, assente, per mezzo del proprio difensore, depositava documentazione medica attestante la propria condizione di impedimento dovuta a “crisi cefaliche, ipertensione severa” con prescrizione di “assoluto riposo, cura e accertamenti clinici …”.
3.1. La Corte territoriale, ritenendo la necessità di disporre accertamenti finalizzati a verificare l’esistenza di una situazione di assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento, sospendeva l’udienza e disponeva la visita c.d. fiscale; il sanitario incaricato dalla Corte di procedere all’accertamento, evidenziava che “… in data 22.01.2014, (il OMISSIS) ha presentato febbre elevata (39) trattata con terapia sintomatica e risolta dopo un giorno, associata a cefalea … alla visita il paziente appare lucido e accessibile, con tono dell’umore lievemente ridotto e note di ansia;
lamenta cefalea persistente. La pressione arteriosa si presenta elevata (170/100) anche ai successivi controlli mentre la saturazione di ossigeno è normale …”.
Sulla base di tale diagnosi, la Corte riteneva l’assenza di un legittimo impedimento a comparire dell’imputato.
3.2. Lamenta il ricorrente la violazione dell’art. 420 ter c.p.p. in presenza di un impedimento duplicemente documentato: in particolare, il giudice, in contrasto con i dettami della giurisprudenza di legittimità, nel disattendere il certificato medico, ha finito per sindacare in modo arbitrario la natura dell’infermità censurandone immotivatamente il carattere impeditivo, finendo così per ingerirsi – in modo del tutto ingiustificato – in un settore riservato alla scienza medica ed entrando in contrasto con i principi che la governano.
3.3. In linea generale, deve essere rilevato che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire ripetutamente, è legittimo il provvedimento con il quale il giudice, investito di una richiesta di rinvio per impedimento a comparire con allegato certificato medico attestante una patologia, ritenga l’insussistenza del dedotto impedimento in quanto detto certificato non preclude al giudice di valutare, anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza, l’effettiva impossibilità per il soggetto portatore della dedotta patologia di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute, non potendo ritenersi preclusiva di tale valutazione la generica necessità, in conseguenza della riscontrata patologia, di un dato periodo di riposo e di cure, la quale è per sua natura preordinata al superamento rapido e completo dell’affezione patologica in atto e non implica, ove essa non sia soddisfatta, l’automatica ed ineluttabile conseguenza di un danno o di un pericolo grave per la salute del soggetto, che costituisce condizione imprescindibile ai fini dell’integrazione dell’assoluta impossibilità di comparire che legittima l’impedimento (cfr., Sez. 5, sent. n. 5540 del 14/12/2007, Spanu, Rv. 239100; Sez. 6, sent. n. 4284 del 10/01/2013, G., Rv. 254896; Sez. 6, sent. n. 36636 del 03/06/2014, F., Rv. 260814).
3.3.1. Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che, nonostante l’attestazione di “crisi cefaliche con ipertensione arteriosa severa”, che aveva indotto il sanitario dell’interessato a prescrivere “cinque giorni di assoluto riposo, cure e accertamenti clinici”, dalla documentazione sanitaria prodotta, anche alla luce degli esiti della successiva visita fiscale, non emergesse l’effettiva impossibilità del V. di partecipare all’udienza in quanto impedito nella deambulazione o costretto a letto anche per episodi febbrili, nè che questi assumesse farmaci per la cura della specifica patologia: elementi tutti dai quali i giudici di merito hanno inferito, da un lato, che la prescrizione di riposo assoluto non implicasse necessariamente l’impossibilità assoluta di raggiungere l’aula di udienza, se del caso trasportato da altri; dall’altro lato che, in assenza di prova in ordine alla particolarità della riscontrata patologia, la stessa non meritasse particolari prescrizioni in aggiunta all’assunzione di farmaci anti- ipertensivi avrebbe potuto risolvere o, comunque, controllare i rischi connessi a tale patologia.
3.3.2. Ritiene il Collegio che, nell’addivenire a tali conclusioni, i giudici di merito abbiano fatto buon governo dei principi di diritto sopra espressi. Nella fattispecie, gli effetti della patologia in atto, sono stati documentati dalla difesa del V. solo genericamente, senza alcuna specificazione delle cause, nè delle specifiche cure da seguire nè delle norme di comportamento cui attenersi per attenuare o comunque non aggravare la sintomatologia; soprattutto, nella certificazione prodotta non v’è alcuna indicazione dei limiti alla libertà di movimento del V., non emergendo neanche che il medico di fiducia (dott. Va.) si sia dovuto recare al domicilio per visitare il paziente, per l’impossibilità di quest’ultimo di raggiungere lo studio del sanitario.
D’altra parte, in assenza di ulteriori precisazioni, l’espressione “assoluto riposo” utilizzata nel certificato, a discapito della perentorietà della aggettivazione, costituisce una sorta di formula di stile, potendo con essa il sanitario avere prescritto al paziente semplicemente di astenersi dal fare sforzi fisici, ma non di rimanere immobile a letto. Ne discende che, correttamente, la Corte d’appello ha ritenuto, supportata a tal fine degli esiti della verifica fiscale che ha confermato solo l’esistenza di segni di ipertensione arteriosa ma non l’impossibilità di movimento, che la patologia attestata nella certificazione prodotta dalla difesa del V. non comportasse di per sè una impossibilità assoluta a deambulare o ad essere trasportato in udienza da terzi e/o con l’ausilio di appositi presidi sanitari con conseguente rigetto della richiesta di rinvio d’udienza.
4. Alla pronuncia di rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.